Non sapendo di essere intercettato intimava a un’amica di non far partecipare la figlia alle commemorazioni delle stragi in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino. Il gup di Palermo ha condannato il boss Maurizio di Fede a 20 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione. Condannati a pene comprese tra 5 anni e 4 mesi e 20 anni anche 11 coimputati: colonnelli, gregari ed ed estortori del pizzo del mandamento di Brancaccio-Ciaculli. Solo uno è stato assolto: Giuseppe Giuliano.

Il processo

Il processo nasce da una indagine dei carabinieri che, nel 2021 portò in cella 16 persone. L’inchiesta confermò la pervasività dei clan nel tessuto economico e sociale con commercianti e imprenditori pronti a chiedere al capomafia locale l’autorizzazione per aprire le attività e a pregare l’esattore del pizzo a non scrivere il proprio nome nel libro mastro delle estorsioni per evitare di dover rendere conto agli inquirenti qualora il registro delle riscossione fosse trovato.

Le estorsioni

Furono oltre 50 le estorsioni scoperte dagli investigatori. Le vittime non sporsero denuncia e ora rischiano il rinvio a
giudizio per favoreggiamento aggravato. Supermercati, autodemolitori, macellerie, bar, discoteche, farmacie, panifici,
imprese di costruzione, rivendite di auto: nel mandamento di Brancaccio Ciaculli pagavano tutti. Tra i fermati poi processati anche Giuseppe Greco, nipote di Michele Greco detto “il papa”, condannato a 16 anni. Greco vantava importanti reazioni con la
mafia americana. Secondo gli inquirenti poi, controllava capillarmente il territorio intervenendo anche nella compravendita di terreni e immobili e gestendo il mercato della droga.

L’inchiesta della procura ha svelato quali erano gli affari all’interno del mandamento: il traffico di droga era quello principale, che garantiva maggiori guadagni. Meno redditizio il pizzo che però veniva imposto a tappeto per controllare il territorio. Tra gli imputati, ma deceduto a giugno, c’era anche Ignazio Ingrassia, considerato uomo di fiducia di Greco.

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