Il generale dei carabinieri Mario Mori li vuole vedere “morire tutti” facendo riferimento a chi lo avrebbe voluto incastrare. Parole al veleno che affida in un’intervista al quotidiano “Il Giornale”. Intervistato dalla giornalista Erika Pontini, Mori non ha peli sulla lingua e non nasconde il suo enorme rancore per i tanti processi affrontati. Finiti nell’aprile scorso con il pronunciamento della Cassazione sulla trattativa Stato-mafia: assolto per non aver commesso il fatto.

Tanti rancori

Mori ha avuto qualche problema di salute, adesso dice che lo sta risolvendo. E apre la sua intervista con parole pesantissime, pur non facendo alcun nome e cognome. “Mi sto curando – si legge nell’intervista -, faccio ogni giorno 4-5 chilometri a piedi, cerco di non ingrassare perché li devo vedere morire tutti”. Parole intrise di rabbia e lui stesso lo conferma poco dopo: “Lo dico con odio”. In queste poche parole è racchiusa la frustrazione per ben 17 anni di processi che lo hanno visto coinvolto in prima persona con alterne fortune. Adesso la sentenza definitiva e irrevocabile lo ritiene estraneo da ogni accusa.

La “trattativa” con Ciancimino

Il generale ha anche parlato di quella “trattativa” con l’allora sindaco di Palermo Vito Ciancimino, uomo che fu legato a doppio filo con la mafia in quegli anni di piombo. “Cercavo di trattarlo alla pari – ha detto Mori – anche perché a quel tempo avevano vinto loro: era morto Falcone, era morto Borsellino, erano morti i nostri migliori uomini. Eravamo in difficoltà, inutile negarlo”. All’epoca Mori era comandante dei Ros, il reparto operativo più importante d’Italia. “Non avevo indicazioni da nessuno su come muovermi – rivela -, da nessuno dei miei superiori, dai ministri. Era tutti terrorizzati, nascosti sotto le scrivanie aspettando che passasse la piena”.

La perquisizione non fatta in casa di Riina

Mori torna poi sulla famosa perquisizione non fatta in casa del sanguinario boss mafioso Totò Riina: “Non era il covo ma l’abitazione dove viveva la moglie. La decisione è stata presa dai magistrati con la polizia giudiziaria accettando il rischio che andassero perse informazioni importanti”.Poi una domanda anche sull’arresto di Matteo Messina Denaro nel gennaio scorso: “Si è perso troppo tempo per prenderlo – afferma -. Un successore? La mafia è morta”.

L’assoluzione

Nell’aprile scorso arrivò l’assoluzione per il generale con tanto di demolizione da parte della Cassazione dell’impianto accusatorio dell’indagine sulla presunta trattativa Stato-Mafia. I giudici della sesta sezione hanno confermato l’assoluzione per gli ex investigatori del Ros, per l’ex parlamentare Marcello Dell’Utri e riconosciuto la prescrizione per il boss di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella, e per il medico Antonino Cinà, ritenuto vicino a Totò Riina. I supremi giudici sono quindi andati oltre quanto già deciso dai giudici di secondo grado di Palermo perché nel fare cadere le accuse hanno utilizzato una formula più ampia. I magistrati non hanno quindi accolto le richieste del pg che aveva sollecitato un nuovo processo di appello per i tre ex Ros e per Bagarella e Cinà.

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