- Operazione antimafia Persefone a Bagheria, tre nuovi arresti nella notte
- Parte dei profitti provenienti da estorsioni e droga destinati alle famiglie dei detenuti
- E’ quanto emerge dalle intercettazioni delle forze dell’ordine
- I capimafia liberi cercano così di garantire la compattezza granitica di Cosa nostra
Nuovo colpo alla roccaforte mafiosa di Bagheria.
I carabinieri del comando provinciale di Palermo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip su richiesta della Dda palermitana, nei confronti di Nicolò Cannata, 25 anni, Emanuele D’Apolito, 28 anni, Ivan Salerno, 30 anni, accusati di lesioni personali aggravate dal metodo mafioso.
Lunedì scorso altri 8 arresti
L’attività d’indagine svolta nell’ambito dell’operazione ‘Persefone’, che ha portato all’arresto lunedì scorso di 8 persone, tra vertici ed elementi di spicco della famiglia mafiosa di Bagheria ha anche permesso di ricostruire, nel dettaglio, il grave pestaggio dello scorso agosto di Fabio Tripoli, un giovane che aveva contestato pubblicamente il nuovo capo della famiglia, Massimiliano Ficano.
I fermati nell’operazione Persefone
I fermati nell’operazione Persefone del comando provinciale dei carabinieri sono Massimiliano Ficano, 46 anni, Onofrio Catalano, 44 anni, Bartolomeo Antonino Scaduto, 26 anni, Giuseppe Cannata, 37 anni, Giuseppe Sanzone, 54 anni, Salvatore D’Acquisto, 40 anni, Carmelo Fricano, 73 anni, Fabio Tripoli, 31 anni.
Le estorsioni e la droga
Cosa nostra, almeno nelle intenzioni, e nonostante i contrasti interni, ambirebbe ad essere una organizzazione ‘solidale’. E i boss, per aumentare il loro potere, ed avere sempre più sodali, pensano anche ai detenuti.
Come emerge dalle intercettazioni, era stato ridimensionato il ruolo di Catalano, ‘relegato’ alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione di Ficano.
I due capi famiglia controllavano tutto: gli introiti delle estorsioni e delle piazze di spaccio della droga, affidate a soggetti ‘autorizzati’ da Cosa nostra, che versavano una quota fissa dei profitti, e che rappresentavano la principale fonte di reddito per le casse della famiglia.
I soldi destinati alle famiglie dei detenuti
Una strategia precisa volta da Ficano, che in una intercettazione con un suo stretto collaboratore, non nascondeva che i soldi della gestione dei centri scommesse e del traffico di stupefacenti erano fondamentali per sostenere le famiglie dei detenuti. Un dovere ‘sacro’ dei capimafia liberi che garantiva il vincolo di omertà interna e la compattezza granitica di Cosa nostra.
Sostenere le famiglie degli affiliati alla cosca che si trovano in carcere, è per i capimafia, un imperativo della loro ‘morale’. Credono di garantirsi così la riconoscenza e la fedeltà nei confronti dell’organizzazione e di potenziare la stessa.
Non è la prima volta che dalle intercettazioni delle forze dell’ordine emerge un simile scenario.
I soldi per i detenuti, Cosa nostra, comunque vadano le cose, li trova. Ed è qui che entrano in scena le minacce e le intimidazioni a danno delle vittime delle estorsioni ed il potenziamento delle piazze di spaccio.
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