I carabinieri del comando provinciale di Palermo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip su richiesta della Dda palermitana, nei confronti di Nicolo Cannata, 25 anni, Emanuele D’Apolito, 28 anni, Ivan Salerno, 30 anni, accusate di lesioni personali aggravate dal metodo mafioso.

L’attività d’indagine svolta nell’ambito dell’operazione ‘Persefone’, che ha portato all’arresto lunedì scorso di 8 persone, tra vertici ed elementi di spicco della famiglia mafiosa di Bagheria ha anche permesso di ricostruire, nel dettaglio, il grave pestaggio dello scorso agosto di Fabio Tripoli, un giovane che aveva contestato pubblicamente il nuovo capo della famiglia Massimiliano Ficano.

Il pestaggio di Fabio Tripoli

Tripoli era stato selvaggiamente picchiato da persone armate di ‘cazzottiere’ quale ‘avvertimento’. Il giovane infatti, aveva fatto sapere di volere dare fuoco a un locale da poco inaugurato da Massimiliano Ficano , ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Bagheria e si era anche armato di un’accetta, trovata e sequestrata dai militari durante la perquisizione nel corso dei fermi di lunedì.

L’aver messo pubblicamente in discussione l’autorità criminale di Ficano, ha portato a deliberare e pianificarne l’omicidio. I destinatari dell’odierna ordinanza di custodia cautelare sono portati nel carcere “Lorusso-Pagliarelli” di Palermo.

Omicidio sventato a Bagheria

Era in programma un omicidio a Bagheria, comune in provincia di Palermo e da sempre roccaforte di cosa nostra dai tempi di Bernardo Provenzano. Bisognava uccidere un uomo che nonostante fosse stato pestato da un commando, aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi non rispettando le regole che vigono all’interno di cosa nostra.

E così i carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo nei confronti di 8 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, maltrattamenti in famiglia, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.


Con l’operazione Persefone i militari, coordinati da un pool di magistrati con a capo il procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno assestato un colpo alla famiglia mafiosa di Bagheria. I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale attraverso d’intercettazione, ambientali, telefoniche, telematiche e veicolari hanno delineato il nuovo organigramma della famiglia mafiosa.

I militari sono riusciti a ricostruire gli interessi dell’organizzazione nel traffico e spaccio di stupefacenti, nella gestione dei centri scommesse e nelle estorsioni.

Nel corso delle indagini è stato accertato che il capo della famiglia mafiosa aveva disponibilità di armi ed è stato individuato un imprenditore edile, ritenuto storico prestanome dei vertici della famiglia mafiosa.

Mafia: il nuovo capo della famiglia di Bagheria

Le indagini dei carabinieri avrebbero accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto ‘Gino’) con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia, a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole e che aveva l’appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. Ficano si vantava delle sue nobili origine mafiose aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto aveva preso il comando anche con metodi violenti.

I fermati nell’operazione Persefone

I fermati nell’operazione Persefone del comando provinciale dei carabinieri sono Massimiliano Ficano, 46 anni, Onofrio Catalano, 44 anni, Bartolomeo Antonino Scaduto, 26 anni, Giuseppe Cannata, 37 anni, Giuseppe Sanzone, 54 anni, Salvatore D’Acquisto, 40 anni, Carmelo Fricano, 73 anni, Fabio Tripoli, 31 anni.

Mafia: i soldi di estorsioni e droga per le famiglie dei detenuti

Il passaggio del comando della famiglia di Bagheria aveva ridimensionato il ruolo di Catalano relegato alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione di Ficano. I due capi famiglia controllavano tutto le estorsioni e le piazze di spaccio che venivano affidate a soggetti ‘autorizzati’ da cosa nostra, che versano una quota fissa dei profitti, che rappresentava la principale fonte di profitto per le casse della famiglia. Una strategia voluta da Ficano che in un’intercettazione con un suo stretto collaboratore, non nascondeva che i soldi della gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti erano fondamentali per sostenere le familiari dei detenuti. Un dovere ‘sacro’ dei capimafia liberi che garantiva il vincolo di omertà interna e la compattezza granitica di Cosa Nostra.

Mafia: la famiglia dirime i contrasti tra commercianti

La famiglia mafiosa di Bagheria controllava tutto e dirimeva i contrasti tra i commercianti. Onofrio Catalano, ritenuto al vertice della famiglia mafiosa, si sarebbe occupato di un’estorsione ai danni dei titolari di un panificio che avevano la colpa, per i mafiosi, di produrre oltre al pane anche dolci. Un’attività che danneggiava il titolare di un bar che si trovava nei pressi e che era vicino alla famiglia bagherese. Le vittime sono state costrette a smettere di produrre i dolci.

Mafia: gli uomini del capo della famiglia di Bagheria

Massimiliano Ficano che diceva di essere stato iniziato nell’ organizzazione dai boss più vicini a Bernardo Provenzano e che in passato si occupò della latitanza del boss corleonese, secondo le indagini dei carabinieri, poteva contare per il controllo del territorio sugli indagati Gino Catalano, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano.

Mafia: l’imprenditore edile “prestanome” dei boss

Nel corso delle indagini sarebbe emerso il ruolo dell’anziano imprenditore edile Carmelo Fricano (detto “Mezzo chilo”), ritenuto soggetto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e in particolare allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. In passato, infatti, diversi collaboratori di giustizia hanno indicato Fricano quale prestanome di Greco, e inserito nell’associazione mafiosa.  Le indagini nel corso dell’operazione “Persefone” hanno ora consentito di raccogliere una serie di elementi nei confronti dell’imprenditore edile adesso indagato per associazione di tipo mafioso.

Mafia: il boss stava organizzando un omicidio

L’autorità del boss Ficano è stata messa in discussione da Fabio Tripoli, apparentemente, secondo le indagini dei carabinieri, estraneo al contesto mafioso, che ubriaco e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. La reazione contro l’affronto non è tardata. Secondo le indagini dei carabinieri Ficano avrebbe incaricato sei soggetti (tra cui gli indagati Scaduto e Cannata) di picchiare Tripoli. Un violento pestaggio che provocò alla vittima un trauma cranico e la frattura della mano. Nonostante l’aggressione Tripoli continuò a sfidare Ficano. Si è armato di accetta e ha più volte detto in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale da poco inaugurato da Ficano. Un affronto a cui il boss rispose pianificando l’omicidio di Tripoli. Per cercare di costruirsi un alibi dopo aver dato l’ordine di ammazzare il ribelle Ficano si è allontanato anche per prepararsi alla fuga visto il pericolo di essere arrestato.

 

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