Non portò da nessuna parte la soffiata che Messina Denaro potesse partecipare ad un summit nell’agrigentino.

Era il 2009 e una fonte, nel 2009, indicò agli investigatori la possibilità che il boss Matteo Messina Denaro avesse avuto un incontro con altri mafiosi nella zona del Belice.

La segnalazione indusse gli inquirenti a visionare le immagini passate di tutte le telecamere piazzate in zona per la ricerca del latitante.

Tra i video analizzati c’era anche quello del Suv con a bordo una persona che poteva sembrare somigliante al padrino di Castelvetrano, trasmesso ieri dal Tg2. La pista è stata scandagliata approfonditamente dagli investigatori, coordinati dalla Dda di Palermo, ma nessuna conferma venne trovata alla segnalazione.

Inoltre sembrò assai improbabile dal principio, a chi indagava, che uno dei maggiori ricercati al mondo circolasse in auto in pieno giorno davanti alla masseria di Pietro Campo, boss di Santa Margherita Belice, strettamente controllato proprio per la sua vicinanza a Messina Denaro.

Oggi sono scattate decine di perquisizioni disposte dalla Dda di Palermo ed eseguite dagli agenti delle Squadre Mobili di Trapani, Palermo, Agrigento e dal Servizio Centrale Operativo nei confronti di persone ritenute vicine al boss latitante Matteo Messina Denaro.

Oltre 150 i poliziotti impegnati nel blitz, dotati anche di apparecchiature speciali e supportati dai Reparti Prevenzione Crimine di Sicilia e Calabria, a cui si sono aggiunti gli elicotteri del Reparto Volo di Palermo ed unità cinofile.

Un imponente spiegamento di forze nella roccaforte del boss che può contare su una fitta rete di connivenze sulle quali gli inquirenti continuano da anni a indagare. L’operazione ha interessato Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, Mazara del Vallo, Santa Margherita Belice e Roccamena. La Valle del Belice – tra le province di Trapani ed Agrigento -, come hanno dimostrato le operazioni di polizia condotte negli ultimi anni, è zona dei clan molto vicini al boss.

Lì sono stati monitorati i passaggi di corrispondenza attribuita a Messina Denaro e trasmessa da esponenti di spicco di Cosa Nostra del trapanese, appartenenti agli storici mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo e dalle famiglie agrigentine. In quest’area il capomafia avrebbe avuto ospitalità e avrebbe potuto contare su una rete di fedelissimi.

Le persone perquisite sono “vecchie conoscenze” degli investigatori proprio per i loro rapporti con il latitante: tra i 20 destinatari dei decreti di perquisizione ci sono anche soggetti già condannati per associazione a delinquere di tipo mafioso.

“I capi nella loro latitanza possono allontanarsi dai luoghi di origine ma certamente devono tornare”: lo dice il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho commentando al Giornale Radio Rai Radio1 le perquisizioni in corso in Sicilia per catturare il boss Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993. I boss, prosegue il procuratore “devono avvalersi di una rete che opera sul territorio, altrimenti non potrebbero mantenere una posizione di comando e capi storici come Matteo Messina Denaro è evidente che non abbandonerebbero mai la loro posizione”.

Benché non sia ufficialmente il capo di Cosa Nostra, aggiunge Cafiero De Raho, “Matteo Messina Denaro unitamente a Totò Riina e ad altri capi ha guidato un piano d’attacco al nostro Paese e quindi necessariamente deve essere catturato e assicurato alla giustizia anche per confermare che il mafioso non avrà mai tregua”.

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