Fabio Damianie Antonio Candela restano il primo in carcere e il secondo ai domiciliari. Lo ha deciso il il Tribunale del riesame che non ha accolto i ricorsi presentati dai due principali indagati nell’ambito dell’inchiesta Sorella Sanità che ha svelato un fitto giro di mazzette sulle forniture ospedaliere del valore di 600 milioni di euro.

Così i due manager, come riporta il Giornale di Sicilia, restano sottoposti alle misure cautelari decise dal Gip che ha deciso di fare scattare gli arresti sulla base delle indagini svolte da Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza. Sono in tutto 10 le persone finite nel vortice del’inchiesta.

Fabio Damiani, ex dirigente dell’Asp 6 e coordinatore della Centrale unica di committenza, che gestisce gli appalti in Sicilia, era – al momento dell’arresto – direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani. Candela era stato prima commissario e poi direttore generale dell’Azienda sanitaria 6 ed era stato nominato commissario per l’emergenza Covid dalla giunta regionale.

Candela, unico componente del comitato che veniva retribuito con un incarico equiparato a quello di manager della sanità pubblica, ha visto l’interruzione unilaterale e immediata del rapporto. Ciò è stato possibile perchè la nomina era fiduciaria ed emergenziale e dunque la si è potuta revocare con analoga procedura.

Diversa la situazione del manager dell’Asp di Trapani Fabio Damiani per il quale vige un contratto dopo una procedura di nomina. L’arresto crea un legittimo impedimento e la Regione, vista la gravità delle accuse, ne ha deliberato la sospensione dall’incarico avviando, contemporaneamente, le procedure di legge e di contratto per giungere alla revoca dopo un contraddittorio.

Il giudice aveva sequestrato complessivamente 160 mila euro, a fronte di una richiesta della Procura di 268 mila. Dopo gli arresti, nel corso della perquisizione domiciliare, Damiani, difeso dall’avvocato Fabrizio Biondo, aveva consegnato la chiave di una cassetta di sicurezza di una banca. Lì i finanzieri, coordinati dal colonnello Gianluca Angelini, avevano trovato 70 mila euro in contanti. Somma che non è stata formalmente sequestrata ma che è comunque indisponibile sia per il recluso che per i familiari. E il fatto che con i preziosi di famiglia ci fossero nella cassetta banconote, suscita più di un interrogativo, in chi indaga per corruzione.

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