Sei miliardi e trecento milioni di euro. E’ questa la cifra simbolo della crisi pandemica in Italia. Crisi il cui picco sembra superato, lasciando però in dote un carico di rabbia e disperazione per il dramma economico ancora tutto da scoprire e vivere: la Fase 3, quella che si caratterizzerà per il collasso sociale ed imprenditoriale del paese. Ripeto la cifra: sei miliardi e trecento milioni di euro. A tanto, di fatti, ammonta la richiesta di prestito formulata da FCA Italy nei confronti degli istituti di credito, da ottenere con una garanzia dello Stato sino all’80 per cento del valore contrattuale. In pratica, se il debitore non dovesse risarcire quel prestito, la banca otterrà il rimborso dallo Stato.

Questo sì che è veramente un intervento “poderoso”, aggettivo che prendiamo in prestito dalla narrativa del premier Conte. E’ inutile, questo Paese non cambierà mai e gli assetti del potere reale sono talmente cristallizzati da essere immutabili. FCA Italy, per chi non lo sapesse, è il braccio operativo per l’Italia del gruppo automobilistico guidato dalla famiglia Agnelli/Elkann. E’ giusto che lo Stato intervenga a favore di un gruppo con oltre 85 mila dipendenti in Italia? Se le cose si dovessero giudicare sotto quel profilo, verrebbe spontaneo dir di sì. Ma è il contesto che grida vendetta, è la ragnatela finanziaria che moralmente ci obbliga a insorgere contro questa dazione monstre di danari.

FCA Italy è la parte nazionale di un sistema globale. Un sistema imprenditoriale nato in Italia, da sempre sostenuto con prebende statali, dal secondo dopoguerra ad oggi. Il rito sabaudo, per capirci, gentili e precise richieste ai governi nazionali, tenuti sempre sotto lo scasso del livello occupazionale. E’ andata così negli anni settanta, abbiamo visto il replay con la crisi degli anni novanta e tutto è continuato con lo stesso andazzo anche in questo nuovo millennio. Leggere alla voce ex Fiat di Termini Imerese, per capire.

Insomma, cambiano governi, cambia il volto delle istituzioni, si scrivono nuove regole ma il potere reale è sempre quello. E’ il Lingotto, oggi nella nuova veste global e atlantista. Nessuno mette in dubbio la necessità di salvare quei posti di lavoro targati Fiat. Ma 6,3 miliardi di prestito sono un calcio lì dove non batte il sole alle migliaia di imprenditori, di autonomi e di dipendenti che non hanno avuto niente come risarcimento. O briciole. E’ uno schiaffo in faccia a tutti quegli imprenditori in fila allo sportello bancario per ottenere (a stento) un microcredito, dal tetto massimo di 25 mila euro.

C’è poi un dettaglio da non poter omettere. Da anni, ormai, la sede fiscale del gruppo, una volta torinese, è al riparo nel paradiso fiscale Olanda. Eh sì, perché la tanto severa Europa, consente ad alcune nazioni Ue (guarda caso, proprio a quelle che urlano di rabbia contro gli aiuti ai paesi del Sud continentale, da loro definiti non a caso Pigs, quindi maiali) di attrarre capitali offrendo fiscalità di vantaggio.

Quei 6,3 miliardi di prestito non vanno proprio concessi. A meno che, non cambi del tutto la prospettiva del gruppo FCA, e la sede operativa torni italiana, restituendo allo Stato quelle tasse e quelle imposte oggi al riparo nel buen retiro di Amsterdam.

E’ certamente una battaglia complicata e difficile da portare avanti. Perché a questo punto, possiamo dare un senso nuovo al rapido capitombolo – operato in piena crisi pandemia – dal più importante gruppo editoriale italiano, Gedi. Oggi, sotto il totale controllo degli Agnelli/Elkann. Hanno il potere, hanno i soldi, hanno pure il megafono. Il mondo nuovo che sta per nascere dopo il Covid 2019 è ancor più egoista di prima. A Palazzo Chigi – e purtroppo pure al Quirinale – si ode un silenzio assordante per questa vergognosa prebenda di Stato, chiesta da chi a quello stesso Stato aveva detto bye bye: per non pagare le tasse.

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