- Ricorre oggi il 28esimo anniversario dell’uccisione di Pino Puglisi, parroco di Brancaccio
- La mafia, tutt’oggi, cerca di inserirsi nel tessuto sociale attraverso la Chiesa
- Nelle intercettazioni delle forze dell’ordine i mafiosi parlano spesso della Chiesa e di Padre Puglisi
- Monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, in una intervista rilasciata a Repubblica Palermo, non nasconde la propria preoccupazione
Ventotto anni fa la mafia uccideva Pino Puglisi, sacerdote del quartiere Brancaccio di Palermo.
Puglisi cercava, attraverso il suo impegno quotidiano nel quartiere, di sottrarre i giovani alla lunga mano della criminalità organizzata. I mafiosi lo temevano, e non poco. Da qui la decisione dei boss Graviano di ucciderlo.
Il sacerdote venne freddato, nel giorno del suo 56esimo compleanno, e davanti la propria abitazione, con un colpo di pistola alla nuca da Salvatore Grigoli. Il suo impegno evangelico e sociale sono, a distanza di molti anni dalla sua morte, un esempio per tutti. Ma i mafiosi, tutt’oggi, cercano nuovi consensi proprio attraverso la Chiesa.
A lanciare l’allarme, dalle pagine di Repubblica Palermo, è monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e componente della Commissione vaticana per la scomunica alle mafie. Pennisi non nasconde la propria preoccupazione.
Nelle intercettazioni i mafiosi parlano della Chiesa
Non sono poche le intercettazioni delle forze dell’ordine nelle quali i boss e i loro sodali parlano della ‘necessità’ di intrecciare legami con la Chiesa per ottenere una sorta di legittimazione. “I mafiosi – dice Pennisi – continuano a usare un linguaggio religioso per provare ad ottenere una riconoscibilità che non hanno”.
Due mafiosi di Torretta, solo per fare un esempio, e come è emerso proprio dalle intercettazioni, chiamavano l’organizzazione mafiosa “Altare maggiore”.
La ricerca del consenso sociale
“I boss – aggiunge Pennisi – sono alle ricerca di nuovo consenso sociale, provano ad accreditarsi presso la società con espressioni religiose. Ma le loro sono solo forme di contro-religione, di ateismo. Non c’è spazio per i mafiosi in Chiesa se non dopo una profonda conversione”.
La scomunica delle organizzazioni criminali
L’arcivescovo di Monreale parla poi del lavoro della Commissione vaticana: “Abbiamo scritto ai presidenti delle conferenze episcopali di tutte le nazioni, è emerso che le mafie si manifestano in tanti luoghi del mondo in modo simile. Vogliamo che la scomunica sia estesa in modo chiaro a tutte le organizzazioni criminali”.
Il Beato Pino Puglisi
Proprio di Pino Puglisi, del quale ricorre oggi l’anniversario della uccisione, ha parlato in una intercettazione un boss di Pagliarelli, dicendo “questo miracoli non ne ha fatti” e chiedendosi il perché sia stato proclamato Beato. I mafiosi temono ancora la figura di Padre Puglisi? Non gli è bastato ucciderlo?
“Queste parole – dice ancora Pennisi con un senso di amarezza – ci danno la misura di quanto i mafiosi tengano ancora alla loro religiosità, che è asservita a disegni di potere ed è usata per accrescere la propria legittimazione sociale. Contro tutto questo si impegnava don Pino Puglisi con parole e un’azione pastorale chiara. La mafia è una religione capovolta con una sacralità atea che rende schiave le persone inserendole in un circolo diabolico dal quale è difficile uscire”.
L’impegno della Chiesa siciliana
Cosa può fare la Chiesa siciliana di fronte alla mafia? L’arcivescovo di Monreale conclude: “I vescovi siciliani hanno espresso delle pronunce chiare. Ora, si richiede un’estrema vigilanza da parte dei pastori della Chiesa, affinché certe espressioni della religiosità popolare non diventino il set su cui i mafiosi possano inscenare una rappresentazione del loro potere intimidatorio e di seduzione verso i giovani”.
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