Poveri in canna, tanto da rivolgersi allo Stato per chiedere un sussidio. Ma questa volta i “furbetti” del reddito di cittadinanza sono boss mafiosi di prima grandezza. Una beffa scoperta grazie alle rete incrociata di controlli predisposta dalla guardia di finanza in collaborazione con l’Inps.

Sono ben 145, tra condannati per mafia e loro familiari, che improvvisamente, dopo avere vissuto per anni nello sfarzo e nel lusso, hanno deciso di presentare richiesta per ottenere il reddito di cittadinanza. Per 26 di loro sono già scattati i sequestri preventivi dei conti correnti.

“Abbiamo ricostruito la lista di tutti i condannati per reati di mafia degli ultimi dieci anni – spiega Alessandro Coscarelli, comandante del Gruppo di Palermo della Finanza – l’abbiamo incrociata con quella dei percettori del reddito di cittadinanza. Un’analisi di 1.200 nomi”. Un lavoro certosino che ha subito dato i suoi frutti. Tra i beneficiari ci sono infatti nomi noti alle cronache come Antonino Lauricella, boss della Kalsa detto “U Scintilluni”, che ha ricevuto un sussidio di oltre 7 mila euro. Ma l’elenco dei 50 condannati per mafia, che hanno dichiarato con una autocertificazione di essere “indigenti”, è davvero lungo.

C’è ad esempio Maria Vitale, figlia del capomafia di Partinico Leonardo, la “postina” che portava gli ordini del padre fuori dal carcere. O Bartolo Genova, che è stato reggente del mandamento di Resuttana che gestiva la cassa dei clan. E ancora Alessandro Brigati, anche lui ritenuto vicino ai Vitale di Partinico; Domenico Caviglia, esattore del pizzo agli ordini del boss di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo, o Filippo Fiorellino, vicino alla cosca di Corso dei Mille, che si è occupato dei traffici di hashish tra la Sicilia e la Spagna.

“La mafia non si è fatta scrupolo di sottrarre i sussidi destinati ai cittadini che sono in stato di bisogno in questo periodo di crisi pandemica – dice il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della Guardia di Finanza – Grazie a queste indagini siamo riusciti a contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico sano nonché a tutela dei cittadini onesti che hanno concretamente bisogno dei sussidi pubblici”.

Il gioco all’inizio è stato facile. I boss o i loro familiari si sono presentati al Caf con una autocertificazione nella quale avevano “dimenticato” di dichiarare alcuni motivi ostativi all’ottenimento del sussidio. Come ad esempio le condanne per i reati di associazione di tipo mafioso, oppure per reati aggravati dal metodo mafioso.

La guardia di finanza ha quantificato in circa un milione e 200 mila euro le somme percepite a partire dal 2019. Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso da Cosa nostra nel 1992 e presidente della fondazione che del giudice porta il nome, non riesce a nascondere la sua rabbia: “Leggere tra gli elenchi dei percettori del reddito di cittadinanza nomi di mafiosi che già mio fratello aveva indagato oltre 30 anni fa è avvilente. E certamente non fa bene alla credibilità delle istituzioni. E’ evidente – sottolinea – che il meccanismo dell’autocertificazione produce storture gravissime”.

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