Il latitante Mimmo Raccuglia si era nascosto per qualche tempo nella provincia Trapanese e quando lo è venuto a sapere Matteo Messina Denaro è andato su tutte le furie. E’ un particolare che emerge dalle intercettazioni sull’operazione internazionale antimafia dei giorni scorsi tra Palermo e New York. Tra i dialoghi captati c’è quello tra due dei 17 arrestati in quel blitz. Ad emergere c’è un grande timore reverenziale nei confronti del superlatitante di Castelvetrano, che all’epoca delle intercettazioni era ancora a piede libero. Il segnale quindi che Cosa nostra era fortemente assoggettata a questo personaggio.
Il dialogo
A parlare e disvelare quindi questo aneddoto sono il boss di Torretta, Gaetano Badalamenti, e il nipote Salvatore Prestigiacomo. Il primo da tempo residente a New York il quale teneva ancora i contatti con il mandamento mafioso della provincia palermitana con l’obiettivo di gestire racket e stupefacenti. Dal dialogo emerge con chiarezza come Messina Denaro fosse andato in escandescenze non appena saputo dell’arresto di Mimmo Raccuglia a Calatafimi. Il motivo? Nessuno gli aveva comunicato che un palermitano avesse sconfinato nella sua provincia. In pratica esigeva di sapere tutto e per tutto ogni movimenti, ogni singola mosca che volava in questo territorio. Ed il motivo era anche abbastanza logico. Messina Denaro già si nascondeva nel Trapanese ed un ulteriore latitante nello stesso territorio avrebbe potuto accendere ulteriormente i riflettori su di lui.
L’arresto di Raccuglia
Mimmo Domenico Raccuglia venne arrestato nel 2009 a Calatafimi, nel Trapanese. Lui, originario di Altofonte, in origine era sotto il comando di Giovanni Brusca. Arrestato quest’ultimo e poi Salvatore Genovese, prese il controllo del mandamento di San Giuseppe Jato. Dopo l’arresto di Bernardo Provenzano e di Salvatore Lo Piccolo era ritenuto il secondo membro di spicco di Cosa Nostra, preceduto da Matteo Messina Denaro. Il suo territorio infatti si era esteso anche nella zona di Partinico e Borgetto. Venne condannato a 3 ergastoli per il rapimento e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, figlio undicenne del pentito Santino Di Matteo, per l’omicidio di Girolamo La Barbera, il padre del pentito Gioacchino La Barbera, e altri omicidi eseguiti negli anni novanta.
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