“In particolare- – si legge nel report , per quanto riguarda la propensione dell’organizzazione ad infiltrare settori strategici dell’economia siciliana, vale la pena di richiamare la confisca del patrimonio di un imprenditore edile, stimato in 120 milioni di euro, eseguita nel mese di febbraio del 2016 dal Centro Operativo D.I.A. di Palermo , quale esito di un sequestro scaturito
da una proposta del Direttore della D.I.A.. La complessa attività di accertamento e riscontro ha consentito, infatti,
l’emanazione di un provvedimento ablativo definitivo, nel quale viene messo in risalto come le società edili
riconducibili al destinatario, personaggio di rilievo della criminalità organizzata, ‘avevano assunto un ruolo di interfaccia
e di canale di collegamento con il mondo imprenditoriale legale, gestendo i capitali provenienti dalle attività
delittuose di cosa nostra anche oltre i confini del territorio siciliano…'”.

Una mafia manageriale insomma che si alimenta grazie ai cosiddetti ‘colletti bianchi’, ovvero una rete di professionisti compiacenti che divengono un nodo fondamentale per l’acquisizione di potere dell’organizzazione.

Per quanto riguarda il racket delle  estorsioni , sia nella provincia che nel capoluogo, “continua a rappresentare una risorsa fondamentale per il mantenimento stesso dell’organizzazione – sottolineano gli investigatori -. Emblematica, in proposito, l’operazione “Maqueda”43, conclusa nel mese di maggio, grazie alla quale sono state ricostruite le condotte illecite di un gruppo criminale, capeggiato da tre fratelli, che esercitava il controllo dello storico quartiere Ballarò nei confronti di commercianti extracomunitari (soprattutto appartenenti alla comunità del Bangladesh), ‘vittime’, da diverso tempo, ‘non solo di estorsioni, rapine ed atti di ritorsione di ogni genere, ma anche di … angherie e soprusi'”.

Oltre alle estorsioni risultano di grande rilievo per le casse di Cosa nostra palermitana i prestiti ad usura e il lucroso mercato della vendita degli stupefacenti  che “viene gestito direttamente da sodali o personaggi contigui all’organizzazione mafiosa, e continua a rappresentare un canale privilegiato di reinvestimento e moltiplicatore di capitali illecitamente accumulati.
In tale settore cosa nostra opera, insieme a ‘ndrangheta e camorra, in un sistema criminale integrato, in cui ciascuna
organizzazione mantiene saldo e inalterato lo stretto legame con il proprio territorio”.

Il report ricorda gli innumerevoli sequestri di piantagioni di cannabis che fanno pensare ad  “un coinvolgimento di Cosa nostra nelle coltivazioni locali, considerati i cospicui guadagni e la localizzazione dei siti”.