È durato un’ora l’interrogatorio del boss Matteo Messina Denaro, sentito dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta che ha portato all’arresto del capomafia. Messina Denaro ha risposto ad alcune domande alla presenza del suo legale, l’avvocato Lorenza Guttadauro.

L’interrogatorio, che si è svolto nel carcere de l’Aquila, dove il boss è detenuto in totale isolamento al 41 bis, non è stato secretato. Messina Denaro è in buone condizioni di salute e viene sottoposto alle terapie oncologiche all’interno della struttura carceraria.

Il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e il suo aggiunto, Paolo Guida, sono arrivati nel carcere dell’Aquila per interrogare il boss Matteo Messina Denaro nel primo pomeriggio. I procuratori sono arrivati, insieme alla scorta, a bordo di cinque auto di grossa cilindrata a serene spiegate. Numerosi giornalisti hanno sostato davanti alle porte del carcere. Il boss, che è stato arrestato il 16 gennaio scorso a Palermo da carabinieri del Ros, si trova all’Aquila dal 17 gennaio dove sta ricevendo le cure per il cancro da cui è affetto direttamente in carcere, in una stanza infermieristica allestita specificatamente.

La latitanza, i suoi viaggi d’affari tra Spagna, Tunisia e Albania

Gli ultimi due anni li ha trascorsi a Campobello di Mazara, paese a pochi chilometri dalla sua Castelvetrano. Col nome di Andrea Bonafede e sostenendo una vita quasi normale. Ma dove è stato prima di allora Matteo Messina Denaro? E’ a questo interrogativo che cercano di rispondere i magistrati che stanno mettendo insieme vecchie e nuove informazioni sul capomafia che hanno cercato per 30 anni.

E le piste dei magistrati portano in tanti luoghi: Spagna, Tunisia, Albania, Montenegro e, in Italia, in Calabria. Viaggi e
lunghe permanenze che come denominatore comune hanno la droga. Un business che, come quello delle scommesse clandestine, è in grado di portare fiumi di soldi liquidi, cioè il tesoro che serviva a mantenere un latitante con un tenore di vita altissimo (si parla di 150 milioni l’anno).

Se la penisola iberica è un paese che il capomafia conosce fin dal 1994, quando si fece visitare al centro di oftalmologia
Barraquer di Barcellona, le piste che lo collocano in Tunisia e Albania sono molto più recenti. In entrambi i casi ad attirare il boss sarebbe stato il mercato degli stupefacenti e del contrabbando: è ormai accertato in più inchieste che quintali di tabacchi lavorati esteri arrivino in Sicilia dal Nordafrica nascosti tra le casse di pesce trasportate dai pescherecci che attraversano il Canale di Sicilia.

In Albania Messina Denaro avrebbe mandato un ambasciatore Luca Bellomo, marito della nipote Lorenza, per poi andare di persona per stringere, dicono gli investigatori, rapporti con esponenti delle istituzioni e dell’imprenditoria. Nell’ultimo viaggio avrebbe fatto anche una puntata in Montenegro per giocare al casinò. Viaggi per affari, dunque tutti da ricostruire anche alla
ricerca del tesoro del boss, finora non trovato, interrotti dalla diagnosi di cancro che, secondo gli investigatori, gli
sarebbe stata fatta in Sicilia.

Da allora la svolta: il rientro nel trapanese, a Campobello, dove poteva godere di una rete sicura di favoreggiatori, ma non solo. Il boss avrebbe scelto di morire vicino alla sua famiglia, come fece suo padre. E di trascorrere gli ultimi anni allentando la maniacale cautela del passato: le cene, le amiche, gli spostamenti. Per recuperare la vita persa fino ad allora e, forse, nella convinzione che nessuno avrebbe sospettato che l’uomo più ricercato al mondo viveva a otto chilometri da casa quasi come un uomo qualunque.

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