C’erano malumori all’interno della cosca mafiosa di Misilmeri, delle vere e proprie gelosie se così possono essere definite. Contrasti emersi nel momento in cui ci si doveva mettere le mani in tasca e pagare cui familiari dei carcerati per poterli sostentare soprattutto per sostenere le spese legali. Malumori che emergono nel corso di una intercettazioni tra uno degli indagati, l’imprenditore Giusto Giordano, e un nipote. Giordano, 55 anni di Misilmeri, confessava al familiare che non era per nulla convinto di dover sborsare soldi per sostenere la famiglia di un carcerato. Un quadro che emerge dall’operazione antimafia “Fenice” messa a segno tre giorni fa dai carabinieri e che ha portato a 6 indagati, tra cui quello che viene considerato il capomafia di Misilmeri, Michele Sciarabba.
Chi è Giusto Giordano
Giusto Giordano è un imprenditore attivo nel campo dell’edilizia privata nel territorio di Misilmeri, socio di fatto di due diverse società. E’ anche fratello di Antonino, già condannato per partecipazione all’associazione mafiosa. I due sono stati indicati oltretutto da un pentito come organici alla cosca.
I soldi da consegnare
Giusto Giordano parlando col nipote si faceva riferimento, secondo gli inquirenti che hanno ascoltato le intercettazioni, al pagamento di una somma di denaro fatta a tale Filippo, che la polizia giudiziaria verosimilmente identificava in Filippo Di Pisa, considerato organico alla famiglia mafiosa di Misilmeri e arrestato per associazione mafiosa ed estorsione nel dicembre del 2018 a seguito dell’operazione Cupola 2.0 e condannato due anni dopo a conclusione del giudizio abbreviato. Giordano riferisce che avrebbero consegnato alla famiglia Di Pisa la somma di 55 mila euro: “…Quello Filippo… quello Filippo… si è portato 55 mila euro … gli dici… a chi li dobbiamo dare ancora…”.
I mal di pancia
Rivolgendosi al nipote dice: “Ma tu a destinazione li hai mandati più?…Quando io te li davo… Che non è arrivato niente… Che mi sono venuti a cercare mentre tu non c’eri ?”. In pratica Giusto Giordano lamentava di non essere stato aiutato economicamente per le spese legali sostenute per aver dovuto affrontare il processo che lo riguardava. In pratica rivendicava il fatto che lui era stato puntuale nell’alimentare la cassa mafiosa per sostenere le famiglie dei detenuti in difficoltà, mentre lui, da fedele membro dell’associazione, non aveva ricevuto lo stesso trattamento: “No…ma lui non ha niente da dire…perché io già gliel’ho detto… a quello… gli ho detto ‘senti… a me… 15 mila euro di avvocato… a me non è venuto nessuno dietro la porta”.
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