Nuovo colpo assestato dalle Forze dell’Ordine alla famiglia mafiosa di Misilmeri, in provincia di Palermo, con l’operazione Fenice.

Gli indagati

Gli indagati nell’operazione Fenice dei carabinieri del comando provinciale sono Cosimo Michele Sciarabba, 43 anni; Alessandro Ravesi, 45 anni; Salvatore Baiamonte, 50 anni; Benedetto Badalamenti, 52 anni; Giusto Giordano, 55 anni e Giovanni Ippolito, 55 anni.

Le accuse

I carabinieri della compagnia di Misilmeri e del nucleo investigativo del reparto operativo di Palermo hanno arrestato questa notte sei persone accusate di essere i capi e i gregari della famiglia mafiosa di Misilmeri in esecuzione dell’ordinanza cautelare in carcere firmata dal gip su richiesta dei magistrati della Dda di Palermo coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido. I sei destinatari del provvedimento sono accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tutti sono stati portati nel carcere Pagliarelli di Palermo in attesa dell’interrogatorio di garanzia in programma davanti al gip nei prossimi giorni.

I dettagli dell’operazione

L’operazione “Fenice” messa a segno questa notte è il sesto blitz in 14 anni contro il violento mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno, l’unico territorio dell’hinterland palermitano dove negli ultimi anni si sono verificati tre omicidi e due tentati omicidi di mafia. Le indagini sono iniziate nel 2008 con l’operazione “Perseo” contro i clan di Belmonte Mezzagno e Misilmeri ed è continuato con i blitz “Sisma” (2009 e 2011), “Jafar” e “Jafar 2” (2015), “Cupola 2.0” (2018 e 2019) e “Limes” (2022). Decine e decine di arresti che hanno cercato di contrastare il predominio di un clan tra i più attivi in provincia di Palermo, in grado comunque di rigenerarsi e di controllare decine e decine di attività economiche.

Il controllo del racket delle estorsioni

Nonostante i numerosi arresti degli ultimi anni, nel mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno il clan era riuscito a riorganizzarsi. Per mantenere il predominio nel territorio sono stati commessi omicidii, e imposto il pizzo a tappeto ai commercianti della zona. Questo è quanto emerge dall’operazione “Fenice” messa a segno questa notte dai carabinieri del comando provinciale di Palermo, coordinati dalla Dda, che ha portato in carcere sei fra boss e gregari del mandamento alle porte della città. Un’organizzazione tornata in piena operatività con una nuova scala gerarchica che imponeva le regole mafiose. L’indagine dei carabinieri, sviluppata attraverso non poche difficoltà dovute al “modus operandi” degli indagati, ha consentito di acquisire gravi indizi in merito all’evoluzione strutturale ed operativa della famiglia di Misilmeri, alla identificazione degli appartenenti al clan, all’accertamento degli affari illeciti e al condizionamento del tessuto socio-economico attraverso il potere mafioso della famiglia di Misilmeri, espresso principalmente attraverso l’imposizione del pizzo.

Il racket alle imprese edili e supermercati

L’attività estorsiva veniva messa a segno a tappeto in nel mandamento mafioso per mantenere il controllo del territorio e sostenere le tante famiglia degli uomini finiti in carcere in questi anni. Sotto ricatto con le imprese edili e al settore della grande distribuzione alimentare. I nuovi boss della famiglia mafiosa di Misilmeri, arrestati questa notte nell’operazione Fenice messa a segno dai carabinieri del comando provinciale di Palermo coordinati dai magistrati della Dda, avevano messo nel mirino, fra gli altri, un impresario del settore edile impegnato nella realizzazione di un grosso impianto di rifornimento di carburanti, il titolare di una società del settore della grande distribuzione alimentare, proprietario di diversi supermercati e un imprenditore alimentare, proprietario di un’azienda avicola del territorio. In questi tre casi gli inquirenti hanno documentato le numerose estorsioni imposte dai boss e gregari del clan.

Il coraggio di chi ha denunciato

Alcune persone avrebbero trovato la forza e il coraggio di opporsi al racket delle estorsioni denunciando per affrancarsi dal giogo del malaffare mafioso.
Grazie anche alle denunce, in poco tempo carabinieri e magistrati hanno ricostruito gli episodi estorsivi perpetrati da chi è accusato di far parte della famiglia mafiosa di Misilmeri.
La speranza è che un numero sempre maggiore di imprenditori e commercianti, ancora stretti dalle maglie delle estorsioni, facciano la loro parte aggiungendosi a quanti sono riusciti a liberarsi dal condizionamento mafioso.

Il nuovo boss di Misilmeri

L’indagine della Dda di Palermo, che ha portato questa notte all’esecuzione da parte dei carabinieri a sei arresti per mafia nei confronti dei vertici della famiglia mafiosa di Misilmeri, ha ricostruito i nuovi assetti del clan. Secondo i magistrati e secondo le valutazioni del gip nell’ordinanza a capo della cosca c’è Cosimo Michele Sciarabba, considerato il nuovo capofamiglia di Misilmeri. Al suo fianco il braccio destro è Alessandro Ravesi. Oltre un anno di intercettazioni hanno permesso di scoprire come i due coordinassero l’attività nei settori tipici di controllo di Cosa nostra, curando il mantenimento dell’ordine sul territorio e cercando di risolvere tutte le controversie tra privati che si rivolgevano alla mafia invece che allo Stato. Intercettazioni e pedinamenti hanno svelato il sistema di solidarietà tra gli appartenenti al clan nei confronti dei familiari degli affiliati in carcere a cui veniva garantito il sostentamento.

Il ruolo di Sciarabba

Era tornato libero dopo 7 anni di carcere, Cosimo Michele Sciarabba e aveva ripreso a comandare con il supporto degli altri clan mafiosi di Palermo imponendo il pizzo agli imprenditori del Palermitano. Questo è lo scenario ricostruito dai carabinieri e sfociato nel blitz di oggi con l’operazione antimafia “Fenice”.
Sciarabba, di Misilmeri, secondo gli inquirenti nonostante il primo arresto non aveva mai interrotto il legame a doppio filo con i clan di Palermo. Anzi, appena tornato libero aveva riallacciato tutti i rapporti e ordinato il racket delle estorsioni nei confronti delle imprese della provincia Palermitana. Il 43enne ufficialmente gestiva un’agenzia di onoranze funebri e dall’alto della sua posizione ordinava chi andava vessato.

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