Il “ravvedimento” non può essere presunto “sulla base della sola collaborazione” e dell’assenza di attuali collegamenti con la mafia, ma “richiede ulteriori, specifici, elementi” e “una maggiore attenzione verso le vittime”.

Sulla base di questo principio la Cassazione ha negato i domiciliari a Giovanni Brusca, confermando quanto stabilito nell’ottobre scorso dal tribunale di sorveglianza di Roma. Brusca sconta una pena a 30 che scade nel 2022, e non l’ergastolo in base ai benefici riconosciuti per la sua collaborazione. Aveva presentato un’analoga richiesta anche nel 2009, alla quale la Cassazione ha risposto con identica motivazione.

Gli “specifici elementi di resipiscenza”, nel caso di un soggetto della “caratura criminale” quale quella dimostrata da Brusca “con la pregressa devianza”, spiega la Cassazione, devono essere sostenuti da “significative manifestazioni di conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato”, da “concrete iniziative riparatorie” tali da rivelare “un serio intento di riconciliazione con la società civile così gravemente offesa”.