L’omicidio a seguito di una sparatoria allo Sperone ha riacceso l’allarme sulla sicurezza a Palermo. Gli investigatori che stanno ancora indagando per far luce sull’ultimo grave episodio di cronaca costato la vita a Giancarlo Romano ed il ferimento grave di Alessio Caruso parlano di due fazioni in lotta pronte a farsi la guerra anche alla luce del sole e temono quindi che si apra una faida. Fermo restando che le indagini sono ancora agli inizi.

Di fondo nessuna strategia sopraffina, metodologia che oramai sembra non far più parte del modus operandi degli attuali capi delle varie organizzazioni criminali cittadine.

Non si escludono possibili ritorsioni

A questo punto, gli inquirenti non escludono che possa covare dalle ceneri della pistola ancora fumante di Camillo Mira una possibile ritorsione. E quindi un’ulteriore spedizione punitiva che potrebbe essere stata messa in conto dalla fazione vicina alla vittima e al suo compare rimasto ancora in gravi condizioni all’ospedale.

La sfacciataggine di aver sparato nel pomeriggio e in città fa presumere che si potrebbe essere di fronte a schegge impazzite. Personaggi che non temono nulla e proprio per questo ritenuti ancor più pericolosi. Uomini in buona sostanza dal grilletto facile, dalla tendenza alla violenza senza troppi fronzoli. Ma soprattutto in grado di valicare qualsiasi confine del buon senso e proprio per questo di dare vita anche a reazioni spropositate e fuori controllo.

Nessun segnale

Al momento non sembrano esserci concreti segnali di una possibile nuova spedizione di qualche gruppo organizzato, ma l’eventualità non appare nemmeno totalmente da scartare. Il quartiere dello Sperone storicamente è territorio dove c’è sempre stato un saldo controllo delle piazze di spaccio. Proprio questo potrebbe essere il reale motivo del raid di sangue, il debito dell’agenzia scommesse dei Mira in realtà sarebbe solo la scintilla poi sfociata nella sparatoria.

L’operazione Nemesi ha ricostruito organigramma

L’operazione antidroga Nemesi che risale al 2021 proprio nella zona dello Sperone è servita a ricostruire l’organigramma dell’associazione, con un vertice che gestiva il rifornimento, le strategie di spaccio e raccoglieva i proventi dell’attività.

A quell’epoca, parliamo di tre anni fa, ad operare c’erano tre distinte compagini criminali, ognuna con a capo una famiglia che organizzava autonomamente la propria piazza di spaccio e impartiva precise direttive ai propri pusher.

Ci furono 58 indagati, molti dei quali finiti in carcere. Non appare dunque impossibile pensare che da allora chi era al vertice e reggeva le teste calde non sia più stato rimpiazzato. Di conseguenza ci potrebbe essere stato qualche sconfinamento, qualche dose di troppo venduta in strade che non erano di competenza di determinati pusher. Da qui ad arrivare a premere il grilletto la strada potrebbe essere stata breve.

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