Per 17 anni era stato costretto a subire minacce e richieste di “messa in regola” da parte di alcuni esponenti di Cosa nostra di Altofonte centro tra i mandamenti mafiosi di Villagrazia di Palermo e San Giuseppe Jato.

Il racconto

“Natale e Pasqua erano diventati non più giorni di festa, ma giorni terribili”. Così a poco a poco a poco ha maturato l’idea di ribellarsi testimoniando contro i suoi esattori facendoli condannare. Adesso l’associazione, che offre assistenza gratuita alle vittime di estorsione e di usura, ha inaugurato sul proprio sito (www.addiopizzo.org) una nuova rubrica che rivelerà il percorso di chi è riuscito a liberarsi dal fenomeno delle estorsioni. A partire proprio dall’esperienza drammatica vissuta dall’imprenditore che oggi continua a lavorare ad Altofonte.

Il percorso di ribellione

“Abbiamo avuto modo di supportare e condividere con Giovanni il suo percorso di ribellione – sottolineano da Addiopizzo – fin dal momento della sua denuncia. Insieme abbiamo affrontato il processo che nel frattempo si è concluso e dove ha anche testimoniato. Abbiamo promosso iniziative e momenti di riflessione per sensibilizzare il tessuto sociale ed economico di Altofonte, che resta uno centri del palermitano dove il lavoro di magistrati e forze di polizia è stato e rimane fondamentale per creare le migliori condizioni per prevenire e contrastare Cosa nostra. Oggi Giovanni è un imprenditore libero, definitivamente affrancato dal fenomeno estorsivo, che continua a svolgere la sua attività economica con successo nel paese dove ha sempre vissuto e lavorato”.

Negli ultimi mesi Addiopizzo ha accompagnato nelle loro denunce diversi commercianti e imprenditori tra la città e la provincia che sono stati oggetto di intimidazioni e tentativi di estorsione. Per questo la vicenda di Giovanni Sala è un esempio importante da raccontare: «Lavoro sulle macchine escavatrici fin da piccolo – ha spiegato in un video –. Un amico, con il quale avevo condiviso la mia adolescenza, mi venne a dire che doveva aiutare alcune persone a Natale e a Pasqua. Non era una richiesta una tantum ma qualcos’altro: ho sottostato al pizzo per tanti anni perché temevo per il futuro della mia famiglia.

Pagare divenuta una abitudine

Ormai pagare era diventata quasi un’abitudine, che magari costava economicamente poco, però mi sentivo sporco dentro e quindi ho cercato di svincolarmi da questa situazione. Su internet ho scoperto che alcuni ragazzi avevano riempito la città con i manifesti dove c’era scritto che un intero popolo che paga il pizzo è senza dignità. Da lì è partito tutto. Addiopizzo mi ha fatto capire che ci sono delle leggi e una normativa a sostegno dell’imprenditore che denuncia: a quel punto se non lo fai, vuol dire che stai dall’altra parte”.