Parliamo di scuola. Lo facciamo dando spazio alla lettera scritta da una mamma palermitana alla nostra redazione. Di solito, i giornali sono abituati a pubblicare queste note con la premessa rituale: riceviamo e pubblichiamo. Un modo un po’ goffo e cinico per sottrarsi alla piena condivisione di quel contenuto. Questa lettera, invece, la riceviamo, la pubblichiamo e la offriamo ai nostri lettori come la più genuina testimonianza di ciò che sta accadendo alle nostre famiglie e ai nostri figli. Paura, frustrazione, ansia e anche la sensazione di essere stati presi un po’ in giro sono i sentimenti che prevalgono.

“Mia figlia deve tornare in classe il 24 settembre, perché la scuola pubblica che frequenta la mia bambina di 9 anni ospita il seggio elettorale. Questo ha forse offerto occasione di prendere ancora qualche giorno di tempo, prima di avviare l’anno scolastico. Sono fortunata, ho ancora qualche giorno prima di trovarmi davanti al bivio più importante della mia vita. Devo decidere se mandare o no la mia piccola a scuola. Sì, devo decidere perché non ho ancora deciso. Ho una grande responsabilità, per mia figlia, per la mia famiglia ed anche per la comunità in cui vivo. Non ho deciso e non do ancora per scontato ciò che accadrà (sarebbe infatti scontato che mia figlia tornasse a scuola al più presto).

Il dubbio?
Non nutro molta fiducia verso l’istituzione, verso le linee guida ministeriali e neppure verso il tentativo, tenace e pieno di buoni sentimenti e buona volontà, dei docenti e dei dirigenti scolastici che, nel mio caso, sono sicura ce la metteranno tutta per ripartire in sicurezza e senza rischi. Ma c’è una verità non detta. La sicurezza in tempi di Covid 2019 è una circostanza impossibile da ottenere. Sicurezza e assenza di rischio sono parole ormai scontate, usurpate, utilizzate quasi come un mantra come se costituissero elemento rassicurante del linguaggio, capaci di determinare un destino che nessuno potrà invece decidere e definire prima dell’esperienza e della prova del tempo.
La scuola non è pronta, non sono pronti gli insegnanti, credo che non siamo pronti neanche noi genitori. Perché? Perché tira aria da armata Brancaleone. Sembriamo tutti lanciati allo sbaraglio. Noi con le nostre famiglie e i nostri figli.

Il patto educativo di corresponsabilità
Mi hanno scritto, mi hanno mandato un messaggino da scuola. Si sono raccomandati che io abbia letto la documentazione Covid 19 pubblicata sul sito del plesso scolastico. Trovo lì un documento da leggere con attenzione. Una dichiarazione da sottoscrivere per consentire l’ingresso in classe di mia figlia. Devo assumermi la responsabilità di ciò che firmo, devo dichiarare molte cose io insieme a mio marito, ad esempio che mia figlia non ha avuto contatti con il covid19 negli ultimi 14 giorni. “Per quanto di nostra conoscenza”, trovo scritto in quel documento. Devo anche impegnarmi a fare in modo che la mia bambina non si tocchi gli occhi e starnutisca eventualmente in mezzo al gomito. Devo esonerare la scuola, il suo dirigente, i suoi docenti, da ogni possibile responsabilità penale per ciò che potrà accadere.

Questo è il “patto educativo di corresponsabilità”. Si scarica tutto il peso sulle famiglie. Come si fa a firmare una dichiarazione come questa, come faccio a sapere se è vero ciò che pretendono che io sappia? Ho impressione che stiamo combattendo la pandemia con la carta straccia, a colpi di autocertificazioni e carte bollate e burocrazia. Come possiamo fidarci? Come non perdere fiducia nelle istituzioni? Come è possibile? Come è successo che anche questa occasione stia per essere sprecata dal nostro paese? Eppure le scuole sono chiuse dal marzo scorso. Chi ci governa ha avuto il tempo per inquadrare i bisogni e definire azioni e strategie. Avrebbe dovuto averlo. No. Invece no. Ha stabilito che la priorità era comprare nuovi banchi (chissà come saranno quelli in scuola di mia figlia piuttosto e se sono arrivati): un’assurdità, un’aberrazione. Una decisione da incapaci, irresponsabili, e qui mi fermo per non offendere oltremodo nessuno. La scuola italiana ha stabilito la sua priorità sui banchi e sulla burocrazia dei protocolli e delle autocertificazioni.

Occasione perduta
C’erano altre priorità da perseguire. Avrebbero dovuto e potuto trasformarla la scuola. Avrebbero dovuto investire sul capitale umano, sulla formazione dei docenti, avrebbero dovuto insegnargli ad adottare la formazione a distanza (cosa che i docenti più dei discenti hanno mostrato di non saper gestire durante il lockdown), formarli sulle metodologie e sulle tecniche ed all’uso delle tecnologie necessarie per erogarla. Avrebbero dovuto dotare le famiglie che non ne hanno la possibilità dei dispositivi elettronici necessari alla formazione a distanza e di connettività.
Avrebbero dovuto e potuto pensare e ripensare una scuola del futuro, alla cultura digitale di intere generazioni, alla preparazione di un servizio scolastico non solo possibile da erogare anche in tempo di pandemia ma utile a rafforzare prospetticamente una intera società.
Avevano ed hanno avuto il tempo e le risorse per farlo e invece no: hanno comprato banchi. Banchi che costano troppo, che si usureranno presto e che non risolvono per nulla il problema del distanziamento sociale e non rispondono a quei criteri di sicurezza e minimo rischio di cui vogliono che io e la mia famiglia ci assumiamo quindi ogni responsabilità. La scelta Per tutti questi motivi, per queste sensazioni la scelta non è facile. Siamo una famiglia abituata ad assumerci le nostre responsabilità. Ma qui si tratta di fiducia.

La fiducia è tutto. La fiducia verso l’ambiente e le persone a cui dovrei affidare mia figlia. La fiducia che tutta andrà bene. La fiducia che questo virus rimanga fuori dalle nostre case grazie alle regole di comportamento dettate e regolate dalle nostre istituzioni. Mentre scrivo mi rendo conto e prendo la mia decisione. Ma quale fiducia. E poi, verso chi? No. Impossibile. Si attrezzino loro ad insegnare a distanza. Io, mia figlia, la tengo a casa.

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