L’emergenza Covid 19 sta mettendo in ginocchio anche il settore artistico.
I teatri sono giustamente, come impongono le disposizioni governative anti-contagio, chiusi e gli artisti costretti a rimanere a braccia conserte senza sapere cosa ne sarà di loro.

Una situazione di grande incertezza che colpisce soprattutto i lavoratori dello spettacolo precari, che in Italia sono la maggioranza del settore.

La Federazione Italiana Autonoma Lavoratori dello Spettacolo FIALS-CISAL, sindacato maggiormente rappresentativo nelle categorie artistiche delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, Teatri di Tradizione e Istituzioni Concertistico Orchestrali, ha dovuto, come si legge nella nota diffusa ieri, constatare con rammarico il rifiuto di alcuni sovrintendenti circa la possibilità che i lavoratori del settore potessero da subito dare il proprio doveroso contributo al territorio per alleviare il pesante momento che i cittadini stanno vivendo”.

Il sindacato lancia dunque l’allarme sulla condizione di estremo disagio nella quale si trovano migliaia di artisti e che riguarda la quasi totalità delle fondazioni lirico-sinfoniche in Italia.

Lo conferma Antonio Barbagallo, segretario della sezione provinciale di Palermo della Fials-Cisal nonché baritono del Teatro Massimo della città.

“I precari sono fuori da qualunque tutela – spiega – perché il decreto prevede aiuti solo per coloro che erano sotto contratto il 23 febbraio. Ma nello spettacolo ci sono molti lavoratori intermittenti, con contratti a produzione e non a stagione. Questa intermittenza è risultata essere fatale. Da anni lottiamo per ottenere stabilizzazioni che non sono mai arrivate determinando un lungo periodo drammatico che adesso si sta manifestando con tutta la sua rilevanza”.

Assai probabilmente i teatri saranno alla fine della lista delle ‘riaperture’ in Italia. E nel frattempo? Cosa faranno gli artisti?

Solo a titolo meramente esemplificativo, basti citare la condizione dei lavoratori del Teatro Massimo di Palermo. L’istituzione culturale siciliana non fa eccezione rispetto all’andamento del settore. Nel corpo di ballo sono quasi tutti precari, alcuni in attesa di stabilizzazione anche da venti anni. Per gli artisti del coro la situazione è lievemente migliore ma di poco, molti inoltre i precari che fanno parte del reparto tecnico del teatro.

Continua Barbagallo: “Nella maggior parte dei teatri italiani nessuno si sta prendendo la briga di organizzare lo smart working, come avevamo chiesto proponendo anche alle fondazioni italiane di provvedere a costruire e rendere operativa una piattaforma per realizzare spettacoli in streaming anche perché non possiamo lasciare il Paese senza teatro. Abbiamo registrato una resistenza da parte dei sovrintendenti delle fondazioni che hanno tacciato le nostre iniziative come ‘fantasiose’, mentre all’estero molte orchestre e molti corpi di ballo stanno continuando in questo modo a fare cultura. Lo Stato intanto continua ad erogare i fondi pubblici ai teatri che li stanno percependo. Il 75 per cento di questi fondi sarebbe destinato al personale ma non è così. Ad usufruire della cassa integrazione sono solo coloro che avevano il contratto alla fatidica data del 23 febbraio e i lavoratori stabili. Tutti gli altri si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano“.

Indispensabile dunque a tal proposito, un appello rivolto sia alle istituzioni locali che nazionali. Specifica Barbagallo: “La Fials Cisal si rivolge a tutti i sovrintendenti chiedendo di ripartire in qualche modo e di non lasciare indietro i lavoratori più deboli ma che sono professionisti altamente specializzati da lunghi anni di studio, lavoro e preparazione. Vogliamo offrire il nostro servizio alla collettività. Pensate a cantanti che non cantano, ballerini che non ballano e musicisti che non suonano più. Sono professionalità che rischiano di essere disperse“.

A fare da eco a Barbagallo, anche un ballerino siciliano precario da 14 anni in un noto teatro, che preferisce rimanere anonimo.

“Quella delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane in buona salute – precisa – è una leggenda. Non c’è produzione e i teatri sono chiusi, quindi al momento stanno anche risparmiando sulle spese vive. Noi sappiano che il Fus (Fondo unico spettacolo, ndr) ed il Furs (Fondo unico regionale per lo spettacolo) sono stati emessi.
Le prime vittime di questa situazione sono i precari. Stiamo premendo per attivare lo smart working.
Si sarebbe potuto approfittare di questo momento di ‘pausa’ per, ad esempio, fare dei corsi di lingua inglese o di russo, dato che molte opere sono in lingua straniera. O ancora, i cori o le orchestre potrebbero fare le prove da casa studiando per il momento della ripartenza. Invece no, è tutto fermo. Insomma, le nostre proposte sinora non sono state accolte. Chiediamo solo di poter tornare a prestare il nostro servizio alla collettività, di fare arte, ma nel frattempo, le istituzioni culturali per le quali lavoriamo devono permetterci di sopravvivere”.

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