- Covid19 e paura del contagio, il medico di famiglia è la prima figura alla quale si rivolgono i pazienti
- In quali condizioni stanno lavorando i medici di base
- Alcune riflessioni sulla campagna vaccinale in corso
- Il timore dei siciliani di sottoporsi al vaccino AstraZeneca
- L’intervista ad un medico di famiglia palermitano
Il medico di famiglia è la prima figura sanitaria con cui i pazienti si confrontano, a maggior ragione se temono di essere stati contagiati dal Covid19.
Essere medico di famiglia nell’anno della pandemia, dei vaccini e della grande paura del virus non è affatto semplice. Per capire maggiormente quali sono le criticità del momento, abbiamo fatto una chiacchierata con Vincenzo Accardo Palumbo, medico dal 1989 e convenzionato con il servizio sanitario nazionale dal 2002. Il suo ambulatorio si trova a Palermo città.
Le richieste e le preoccupazioni dei pazienti
Quali sono le domande che i pazienti pongono più spesso al medico in questo periodo di emergenza sanitaria? “Non è facile rispondere sinteticamente – dice Accardo Palumbo -, certamente c’è apprensione ed in generale timore. Gli interrogativi dei pazienti sono tanti ma oggi c’è maggiore conoscenza del Covid19 rispetto all’anno scorso, quando durante il lockdown, ancora non si sapeva cosa e come fare e tanti erano i dubbi anche per gli ‘addetti ai lavori’, come infettivologi e virologi”.
I problemi di comunicazione
Oggi per fortuna molto è cambiato rispetto alla fase iniziale di gestione della pandemia. Lo conferma il medico che racconta una precisa circostanza: “Adesso sono state emanate delle direttive più chiare per la medicina generale ma il sistema ‘triangolare’ di comunicazione all’inizio non ha avuto una capacità organizzativa rapida. Solo a novembre 2020 è nato un portale che permette di condividere le informazioni tra medico di medicina generale, Dipartimento di Prevenzione e Usca (Unità speciale di Continuità assistenziale, ndr).
Prima il paziente sospetto Covid19 veniva segnalato dal medico con una mail alla quale spesso non c’era risposta. Quindi, questa situazione impediva al medico di famiglia di rassicurare il paziente e di fare da interfaccia tra quest’ultimo e il sistema sanitario. Noi non salviamo vite ogni minuto come fanno i colleghi del pronto soccorso, ma facciamo da spalla sociale, da sostegno. Ed i pazienti hanno bisogno di noi. Prima della nascita del portale quindi, il paziente viveva una condizione di destabilizzazione, attendeva per giorni in solitudine guardando il telefono, aspettando la chiamata di chi sarebbe andato a fargli il tampone. Tuttavia non credo che in altre regioni abbiano fatto meglio.
Ora è tutto diverso, il portale ci permette in modo veloce di caricare i dati del paziente, una sintesi della sua sintomatologia, e denunciare il caso sospetto o manifesto di Covid. Al paziente viene trasmessa copia della segnalazione. Insomma, tale sistema si poteva programmare in modo più tempestivo, ma meglio tardi che mai. Questa è ovviamente la mia opinione”.
Le domande più frequenti e la paura di AstraZeneca
Le paure dei pazienti sono tante. E per questo si rivolgono al medico di famiglia, che riceve previo appuntamento. Il dottor Accardo Palumbo visita dai 15 ai 20 pazienti al giorno. “Le visite – dice – sono quelle di sempre – dallo scorso marzo ho solo diradato gli appuntamenti. Ricevo non più ogni 15 ma ogni 30 minuti, per evitare assembramenti in ambulatorio. Per patologie meno importanti si fa un triage telefonico, ma a distanza o in presenza, i pazienti hanno comunque bisogno di quello che definisco ‘conforto psicologico’. Prima dell’arrivo dei vaccini molti mi chiedevano quando sarebbe finita la pandemia, quando tutto si sarebbe risolto ma nessuno di noi ha la sfera di cristallo.
Io sono molto cauto, e credo che il piano vaccinale potrà raggiungere l’80 per cento della popolazione non prima del prossimo Natale.
Devo rilevare che tutti sono spaventati dal vaccino AstraZeneca: molti pazienti mi chiedono di sottoporsi ad esami specifici per capire se corrono o meno il rischio di trombofilia.
Altri mi chiedono, sempre per lo stesso motivo, di accertare se si trovino in una condizione di fragilità o vulnerabilità nella speranza che gli venga inoculato un vaccino diverso da AstraZeneca.
Insomma, i problemi che deve fronteggiare il medico di famiglia sono tanti.
Anche qui, devo dire, non ci sono, da parte del ministero della Salute, direttive chiare. Bisognerebbe uniformare orientamenti e comportamenti, attenersi a un protocollo di condotta univoco. Aiuterebbe la categoria medica ad essere coesa e ad acquisire autorevolezza nei confronti dei pazienti, perché sono sempre alla ricerca di una guida, di un consiglio, di qualcuno che possa dire loro che andrà tutto bene”.
Le visite domiciliari
Il primo contatto con i pazienti, in osservanza delle regole anti contagio, avviene sempre telefonicamente.
Il medico decide quindi se è il caso di fare una visita domiciliare, dotandosi di tutti i dispositivi di protezione. “Se c’è una sintomatologia infettiva o respiratoria – prosegue il medico – chiedo sempre di fare il tampone immediatamente. Per la visita domiciliare utilizzo un camice monouso, guanti, mascherina, occhiali, visiera e anche dei calzari. Mi vesto prima dell’ingresso in casa e mi spoglio dopo la visita sul pianerottolo del paziente. Non è una cosa facile ed immediata”.
La campagna vaccinale
A Palermo e provincia sono 559 i medici di medicina generale e di continuità assistenziale che hanno aderito alla campagna di vaccinazioni anti Covid. Tra loro anche il dottor Accardo Palumbo, che però evidenzia quelle che sono alcune criticità, partendo dai problemi registrati quest’anno per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale.
“Per somministrare 600 vaccini antinfluenzali – racconta – ho impiegato mesi. Nonostante io sia stato in studio a vaccinare anche il 24 dicembre ed il 31 dicembre, in piene festività. Sulla scorta dei proclami estivi, tanti pazienti a fine estate richiedevano già il vaccino.
Avrei dovuto ricevere i vaccini presso il mio studio a inizio ottobre. Ebbene, tra ottobre e dicembre ho dovuto recarmi nove volte presso il distributore regionale – e garantisco che per me questo non è stato un fastidio – per ritirare i vaccini che mi spettavano e che il più delle volte non trovavo perché erano già stati distribuiti. Anche qui c’è stata disorganizzazione. Ho dovuto rispondere alle telefonate di centinaia di pazienti costretti a riprogrammare l’appuntamento per sottoporsi al vaccino. Le lamentele dei pazienti sono state a non finire e non è mancato, purtroppo, chi mi ha accusato di pressapochismo e menefreghismo perché voleva ricevere al più presto il vaccino contro l’influenza. E’ stato davvero spiacevole dover assistere con impotenza a tutto questo.
Per il vaccino anti covid ho dato la mia disponibilità alle inoculazioni. Andrò a vaccinare negli hub, dove, come e quando l’Asp vorrà. Mi auguro che ci sia trasparenza e chiarezza nelle indicazioni ai medici. Vaccinare in ambulatorio mi pare una ipotesi che è difficile concretizzare, ci sono passaggi lunghi e complessi, e tempi impegnativi. Per il resto, voglio dare concretamente il mio supporto alla battaglia contro il Covid”.
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