E’ sotto processo, nell’aula della Corte di Assise del tribunale di Siracusa , con l’accusa di estorsione, Sebastiano Brunno, 58 anni, indicato dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania come il reggente della cosca Nardo di Lentini. Sta scontando una condanna all’ergastolo perché riconosciuto colpevole di associazione per delinquere di stampo mafioso e dell’omicidio di  Nicolò Agnello, avvenuto nel 1992 a Lentini, nell’ambito della faida tra le cosche mafiose antagoniste Nardo ma è tornato ad essere imputato dopo la denuncia di un imprenditore edile di Carlentini. Secondo il pm, Brunno, forte della sua caratura criminale e conosciuto come “Neddu a crapa” avrebbe costretto la vittima a cedergli un appartamento, a Carlentini,  senza alcun corrispettivo.

L’imprenditore, nel corso della due deposizione agli inquirenti, ha svelato che era stato Brunno, molti anni fa, ad andare a trovarlo perché interessato all’appartamento. E dopo avergli consegnato un assegno di 20 milioni avrebbe voluto restituiti i soldi per poi occupare la casa insieme alla sua famiglia. La vittima non avrebbe fiatato, avrebbe avuto molta paura di Brunno, latitante dal 2009 dopo la condanna definitiva all’ergastolo. Fu stato trovato qualche anno dopo a Malta: nella città di San Pawl Il Bahar, a Malta, si era rifatto una nuova vita e quando venne catturato, nell’ottobre del 2014, aveva con se una carta di identità intestata ad un palermitano di 49 anni

Il difensore di Brunno, l’avvocato Sebastiano Troia, che nega ogni accusa, ha presentato ai giudici della Corte di Assise, presieduta da Giuseppina Storaci, alcuni documenti, tesi a dimostrare non solo i pagamenti all’imprenditore ma anche il contratto di locazione anche se per quanto concerne quest’ultimo è stata fornita una fotocopia ed il consulente del tribunale non ha potuto constatarne l’autenticità.

Sul conto di Brunno, sono stati compiuti degli accertamenti patrimoniali allo scopo di sapere se era in grado di mantenersi l’affitto. Un carabiniere ha eseguito dei controlli sulla famiglia del boss a partire dal 1996 fino al 2015. Nessuno di loro, per l’investigatore, fatta eccezione per un componente della famiglia, che lavorava in un supermercato, percepiva redditi.  Insomma, secondo l’accusa quella casa Brunno non avrebbe potuto permettersela.

 

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