Dopo il Kilimangiaro tocca all’Himalaya. Nuova sensazionale scalata per l’ingegnere siracusano Guglielmo Venticinque che nella giornata di giovedì 7 aprile 2023 è riuscito a fissare la bandiera italiana (e idealmente anche quella siciliana) sull’Imja Tse, vetta a quota 6.189 metri, conosciuta anche come Island Peak, che si trova sul versante nepalese della catena montuosa asiatica celebre anche per l’Everest, la cima più alta del mondo.
Un’impresa quella di “Gulli” – così è soprannominato Venticinque con chiaro riferimento a Gulliver – significativa perché si riaggancia a una delle emergenze attuali più stringenti, ovvero il graduale aumento delle temperature che affligge il pianeta. Il cambiamento climatico, infatti, ha colpito anche l’area dell’Island Peak, modificando la morfologia dei ghiacciai e trasformando, soprattutto negli ultimi mesi, quello che fino a poco tempo fa era considerato un percorso non particolarmente impegnativo in un’ascesa impervia.
Chi è lo scalatore
Guglielmo Venticinque, classe 1980, è laureato in ingegneria edile e architettura, proprietario di un’agenzia marittima specializzata in commercio petrolifero e di un noto impianto sportivo a Siracusa. Un passato da scout, ama lo sport e l’avventura: windsurf, snowboard, running, trekking e alpinismo. Nell’agosto 2022 ha scalato il Kilimangiaro (5.895 m -Tanzania). Prima ancora aveva raggiunto le vette del monte Whitney (4.421 m – USA) e del Kalappathar Peak (5.675 m – Nepal).
La preparazione alla nuova impresa
Dopo mesi di dura preparazione fisica, “Gulli” a fine marzo è arrivato a Kathmandu, capitale del Nepal, dove ad attenderlo c’era la Elite Exped, società specializzata in questo tipo di spedizioni, fondata da Nims Purja, star mondiale dell’alpinismo, diventato celebre per aver messo piede su tutte le quattordici vette del mondo che superano gli 8.000 metri nel giro di 6 mesi fra aprile e ottobre 2019, fatiche raccontate in un documentario di Netflix.
A Kathmandu, Venticinque incontra la guida locale che l’avrebbe accompagnato nell’avventura sull’Himalaya. “Gulli” la chiama “Iangila” con accento siciliano, in realtà lei è Mingma Yangzi, scalatrice professionista di 28 anni, una delle poche donne sherpa autorizzate in Nepal. Dalla capitale i due con un piccolo aereo atterrano a Lukla, scalo che si trova a oltre 2.800 metri e che spesso viene citato come il più pericoloso al mondo.
Da lì inizia la marcia di Venticinque. Prima 8 giorni lungo il Khumbu Trek, celebre percorso di trekking che porta al campo base Everest. Un itinerario affrontato gradualmente con 500 metri al giorno guadagnati e ogni due giorni 24 ore alla stessa altitudine per acclimatarsi e abituarsi al debito di ossigeno. Dopo aver attraversato diversi villaggi ed aver donato scarpe e vestiti ai bambini, l’ingegnere siracusano ha abbandonato il famoso percorso di trekking per dirigersi a Chhukhung (quota 4.730m).
L’attesa al campo base
Poi l’infinita attesa al campo base, prima dell’ultima partenza, quella verso la cima obiettivo della spedizione, avvenuta all’1.30 (ora locale) del 7 aprile scorso. Dopo quasi 7 ore e altri 1.400 metri scalati, di cui gli ultimi 300 metri costituiti da una tremenda parete verticale, “Gulli” è sulla vetta dell’Imja Tse dove issa il tricolore e gli altri vessilli che ha portato con sè. Il tempo di godersi l’incredibile panorama che inizia la discesa. Altre quattro durissime ore e l’ingegnere è di nuovo al campo base: è fatta.
“L’Imja Tse – dice Venticinque – è stata l’impresa delle imprese, di quelle che non dimenticherò mai. Mi ha portato vicino ai miei limiti fisici e tecnici, mi ha posto davanti a rischi che non so se vorrò più prendere in futuro. Per me l’alpinismo è un hobby e non voglio correre rischi fuori dal normale”.
Rischi del “mestiere” accentuati dalle conseguenze del riscaldamento globale. “Questa montagna fino allo scorso anno – spiega Venticinque – era considerata una vetta ‘facile’ in quanto raggiungibile attraverso un ghiacciaio di inclinazione non superiore a 60°, affrontabile con corde di sicurezza e ramponi. Il recente distacco di un seracco ha dato forma a una distesa pericolosa e informe da attraversare. Il pericolo crepacci è sempre alto, in quanto molti di essi possono essere coperti da una sottile coltre di neve fresca. Il ghiacciaio si attraversa legati da una corda di 20-25 metri che unisce due alpinisti e, nel caso uno dei due dovesse sprofondare dentro un crepaccio, l’altro avrebbe la possibilità di sorreggerlo”
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