Il tribunale del Riesame di Catania ha annullato l’ordinanza di arresto nei confronti di Domenico Russo, 66 anni,  veterinario, incensurato, coinvolto nell’operazione antimafia, denominata San Paolo, conclusa il 27 luglio con 24 arresti, 19 in carcere e 5 ai domiciliari, tra Floridia e Solarino, nel Siracusano. Il sessantaseienne era accusato di tentata estorsione in concorso e aggravata dal metodo mafioso ma questa ricostruzione è sempre stata rigettata dall’indagato. Il suo difensore, l’avvocato Carlo Aloschi, ha presentato ricorso ai giudici del tribunale al Riesame, composto dai  Enza De Pasquale, Paolo Corda e Marco Lorenzo Minnella,  che, accogliendo l’istanza, hanno rimesso in libertà il veterinario. L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda di Catania, affonda le sue radici sulle attività illecite del clan Aparo, capace di controllare la zona tra Floridia e Solarino, che, con l’usura, avrebbe finanziato il traffico di droga.

Nelle settimane scorse, era tornata in  libertà Antonia Valenti, 74 anni, difesa dall’avvocato Franca Auteri, madre di Giuseppe Calafiore, 53 anni, indicato dagli inquirenti, insieme a Massimo Calafiore, come il reggente della cosca, su mandato diretto dal boss Antonino Aparo, rinchiuso nel carcere di Opera, a Milano.

Secondo l’accusa,  la donna avrebbe custodito gli appunti del figlio che contenevano  nomi, ammontare delle rate, date dei pagamenti, oltre ai prestiti concessi da Calafiore a titolo personale, senza il coinvolgimento del clan Aparo.  La madre, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, ha chiarito la sua posizione, ricostruendo alcuni fatti e così il giudice, accogliendo l’istanza del suo legale, l’ha rimessa in libertà.

Le vittime, secondo i carabinieri, pagavano con bonifici bancari o trasferimenti monetari su Postepay, oltre che con il classico metodo del trattenimento di assegni dati in garanzia per l’ammontare del prestito. In caso di  inadempimento, i Calafiore procedevano ad impossessarsi di autovetture, beni immobili e esercizi commerciali delle vittime, gettandole letteralmente sul lastrico. Per la gestione dell’usura, Giuseppe Calafiore, oltre che della madre, si sarebbe servito della compagna, Clarissa Burgio, inizialmente vittima di usura da parte dello stesso Calafiore che le avrebbe affidato tutto dopo il suo arresto per droga.

Pure Giuseppe Calafiore, anch’esso assistito dall’avvocato Franca Auteri, ha deciso di parlare al giudice:  il cinquantaduenne, nei giorni scorsi, avrebbe “chiarito la sua posizione”, “ricostruendo i rapporti con altre persone” ma sostenendo che “i fatti contestati non rispecchiano la realtà”. Dichiarazioni più o meno analoghe a quelle di Salvatore Giangravè, 57 anni, difeso dagli avvocati Paolo e Gabriele Germano, che rappresentano anche Angelo Vassallo, 57 anni che, però, ha fatto scena muta. Ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere anche Massimo Calafiore, 52 anni, difeso dall’avvocato Domenico Mignosa.