Il Tribunale di Siracusa ha condannato a un anno e due mesi di reclusione ciascuno Salvatore e Gabriele Giuliano, padre e figlio, indicati dai magistrati della Dda di Catania come esponenti di un gruppo criminale di Pachino legato al clan mafioso Trigila di Noto, per le minacce al giornalista e vicedirettore dell’AGI Paolo Borrometi.

La vicenda

I due imputati pubblicarono sul profilo Facebook del sito “La spia”, di cui il giornalista è direttore, e su quello personale della vittima, frasi minacciose in merito ad una inchiesta giornalistica del 22 agosto del 2016 redatta da Paolo Borrometi e relativa agli affari della mafia nei Comuni del Siracusano. Le frasi minacciose ai danni di Borrometi furono rivolte da Salvatore Giuliano in una nuova occasione, poco dopo la pubblicazione di un altro articolo ma sul sito articolo21.org firmato da Giuseppe Giulietti.

Sindacato e Ordine parte civile

Il giornalista, difeso dall’avvocato Vincenzo Ragazzi, si è costituito parte civile nel processo insieme al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, la Federazione nazionale della stampa italiana e l’Associazione siciliana della stampa.

Condanna per boss di Vittoria

Un anno fa si è chiusa con la condanna definitiva in Cassazione di Battista Ventura, il processo che vedeva imputato il boss di Vittoria, per le minacce rivolte Paolo Borrometi.

Un processo durato sette anni e che si è chiuso con la condanna a un anno e 10 mesi confermata a Ventura per le minacce di morte e la tentata violenza privata ai danni di Borrometi per le sue inchieste sulla criminalità organizzata vittoriese. La suprema corte ha rigettato il ricorso di Ventura contro la sentenza della Corte d’appello di Catania che nel giugno 2020 lo aveva condannato riconoscendo l’aggravante del metodo mafioso.

Ad inchiodare l’imputato le frasi rivolte al cronista tra cui “Ti scippo la testa, sarò il tuo peggior incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà; se vuoi ci incontriamo anche negli uffici della Polizia, tanto la testa te la scippu u stissu; tu ci morirai con il gas” e diversi altri epiteti irripetibili che hanno portato Borrometi a vivere sotto scorta a partire dal 2014.

 

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