I giudici della Corte d’Assise d’appello di Palermo hanno confermato la condanna a 23 anni di reclusione per Dana Mihaela Nicoleta Chita, romena di 26 anni, riconosciuta colpevole dell’omicidio di Michelangelo Marchese, 89 anni, strangolato nella sua abitazione di Palma di Montechiaro in provincia di Agrigento da dove sarebbero stati anche portati via i pochi risparmi e l’auto.
La donna fu fermata il 20 novembre del 2020 a distanza di alcuni mesi dell’omicidio avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 luglio. L’anziano non solo l’aveva ingaggiata come badante ma le aveva promesso che l’avrebbe sposata lasciandole l’eredità.
La donna, che avrebbe agito con altri complici non identificati, lo avrebbe strangolato e ucciso dopo averlo immobilizzato con del nastro adesivo sul quale sono state trovate tracce del dna dell’imputata.
La condanna di primo grado
Ventitré anni di reclusione in primo grado nella sentenza dell’ottobre 2022.Dana Mihaela Nicoleta Chita venne riconosciuta colpevole di avere ucciso l’ottantanovenne Michelangelo Marchese, strangolato nella sua abitazione di Palma di Montechiaro da dove sarebbero stati portati via i pochi risparmi e l’auto che teneva posteggiata per strada. Il fiocco con cui sono stati legati alla sedia i polsi della vittima, anziché il nodo, indirizzarono subito gli inquirenti su una donna.
Inizialmente si pensava a una rapina
L’anziano fu trovato morto solo due giorni dopo il delitto, quando uno dei figli, allarmato perché non riusciva a parlargli, aveva chiesto l’intervento dei vigili del fuoco per aprire la porta. Entrati, i pompieri trovarono il pensionato morto, legato a una sedia, con le mani dietro alla schiena, insanguinato, la casa a soqquadro, la sua auto, una vecchia Fiat Punto, sparita assieme alla pensione di mille euro. Tutti particolari che facevano pensare ad una rapina trasformatasi in omicidio. L’autopsia aveva poi stabilito che l’anziano era stato soffocato.
Il suo poteva essere il delitto perfetto. Ma la donna, non ha però tenuto conto del comportamento dell’amico di cui si fidava.
La svolta
La svolta si è avuta infatti, quando è stata rinvenuta l’auto del pensionato. La donna, hanno ricostruito gli investigatori, l’aveva consegnata ad un amico pregiudicato di Canicattì per demolirla e farla sparire. L’uomo, invece, l’ha tenuta per sé e l’ha fatta circolare. Errore fatale perché quando si è scoperto che quell’auto risultava rubata, si è subito risaliti al proprietario e al misterioso delitto. Interrogato, l’amico pregiudicato della donna alla fine è crollato, confermando ai carabinieri che a consegnargliela era stata lei. Nell’auto dall’esame del Ris sono emerse tracce di Dna e impronte della donna, le stesse trovate nella casa dell’omicidio.
Quando è stata rintracciata, la donna era già in carcere, a Catania, dove era stata portata tempo fa per non aver rispettato un ordine di dimora.
La pena inflitta dalla Corte di assise presieduta da Wilma Angela Mazzara è inferiore rispetto alla richiesta del pubblico ministero Cecilia Baravelli che aveva proposto l’ergastolo.
La donna, fu fermata il 20 novembre del 2020 a distanza di alcuni mesi dell’omicidio avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 luglio.
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