- Stato-mafia: Giovanni Brusca al processo da sito riservato
- Procura generale chiede conferma delle condanne per gli imputanti
- I pg “Le Verità vanno dette anche se scomode”
Partecipa al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia da una località riservata Giovanni Brusca, ex boss passato tra i ranghi dei pentiti scarcerato per fine pena, tra le polemiche, la settimana scorsa, dopo 25 anni di detenzione.
Oggi la requisitoria
All’udienza di oggi del procedimento d’appello sul patto che pezzi dello Stato avrebbero stretto con Cosa nostra negli anni delle stragi mafiose dovrebbe concludersi la requisitoria dei procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera.
Pg chiede conferma condanne per imputati
Al termine della requisitoria la Procura generale di Palermo ha chiesto alla corte d’assise d’appello di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Nel primo grado a 28 anni di carcere fu condannato il boss Leoluca Bagarella, a 12 gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri e il capomafia Antonino Cinà. Otto anni la pena inflitta all’ex capitano del Ros Giuseppe De Donno. Vennero dichiarate prescritte invece le accuse per l’ex boss Giovanni Brusca, mentre l’ex figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino ebbe 8 anni per calunnia, accusa dichiarata prescritta in appello.
“Le Verità vanno dette anche se scomode”
“I fatti accertati non possono essere nascosti e taciuti: le verità, anche se scomode, devono essere raccontate”. Si conclude così la requisitoria della procura generale di Palermo al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
I procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, dopo aver ricostruito il quadro che avrebbe portato al patto criminale tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, hanno chiesto la conferma delle pesantissime condanne inflitte in primo grado a capimafia, ex ufficiali del Ros e all’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri.
Le motivazioni
“Le stesse menti raffinatissime che avevano sostenuto la coabitazione tra il potere criminale e le istituzioni, avviando la trattativa, consentono a Riina di dire che lo Stato si è fatto sotto”, dice il pg.
“E ciò induce ulteriore violenza”, aggiunge, motivando l’accusa, per gli imputati, di minaccia e violenza a Corpo politico dello Stato. Acconsentendo al dialogo con i boss gli imputati, dunque, avrebbero consolidato l’escalation violenta della mafia certa che quella stagista fosse la strada giusta per far capitolare le istituzioni.
Dopo gli arresti di boss come Totò Riina e i fratelli Graviano, secondo l’accusa, i pezzi deviati dello Stato che avevano sostenuto la trattativa avrebbero garantito “una latitanza protetta per Bernardo Provenzano”.
“Nel frattempo nasce Forza Italia”, dice la procura generale, che descrive il presunto ruolo nella vicenda dell’ex senatore Marcello Dell’Utri che avrebbe “curato la tessitura dei rapporti tra Cosa nostra e ‘ndrangheta e il potere politico. E lo stesso Berlusconi, chiamato a testimoniare sull’argomento da premier, si è avvalso della facoltà di non rispondere”.
“Un suo diritto – stigmatizza il magistrato – ma di certo ci si aspettava un contributo diverso su questo argomento”.
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