C’era un piano della mafia per uccidere a Roma Giovanni Falcone e il ministro della Giustizia Claudio Martelli ma anche alcuni giornalisti.
A raccontare i particolari della cosiddetta ‘missione romana’ di Cosa nostra e’ stato il procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci nel corso della requisitoria al processo al boss latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Il dibattimento si celebra davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.
“Nell’ottobre del 1991 – ha detto Paci – si tenne una riunione alla quale parteciparono Toto’ Riina, Matteo Messina Denaro, Mariano Agate, Vincenzo Sinacori e i fratelli Graviano. Nel corso di quella riunione Riina annuncio’ la volonta’ di lanciare un’offensiva per dare risposta a quella che ormai era una disfatta annunciata (l’esito infausto del maxi-processo) e i cui responsabili erano a suo parere il ministro Martelli, Giovanni Falcone e l’onorevole Lima. Fu una sorta di chiamata alle armi”.
“Riina, ha raccontato ancora il magistrato – avrebbe detto ai suoi ‘dovete andare a Roma’. Nella Capitale ad aspettare i boss ci sarebbe stato Antonio Scarano, un calabrese che avrebbe dovuto dare un appoggio nel corso della cosiddetta ‘missione romana’ per cercare gli obiettivi, che erano Falcone, Martelli, Maurizio Costanzo e altri giornalisti, tra i quali Andrea Barbato, Michele Santoro, Enzo Biagi e il presentatore Pippo Baudo. A Roma avrebbero dovuto prendere l’esplosivo”.
Come è noto, il giudice Giovanni Falcone venne ucciso il 23 maggio del 1992 con cinquecento chili di tritolo nella strage di Capaci. Con lui morirono la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Alle 17.57 di quel maledetto giorno, gli attentatori fecero esplodere un tratto dell’autostrada A29 proprio mentre stava transitando in auto il giudice Falcone.
L’uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni di Cosa Nostra che si svolsero tra il settembre ed il dicembre 1991.
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