• Beni culturali e “Carta di Catania”, continuano le polemiche
  • Votata a febbraio in Commissione Cultura all’Ars una risoluzione che ne chiede il ritiro
  • Oggi un webinar promosso dal Partito Democratico dal titolo “Opportunità o disastro?”
  • Tra gli interventi previsti anche quello di Silvia Mazza
  • L’intervista alla storica dell’arte e giornalista

Si tiene oggi, 8 marzo, alle ore 17 e in diretta streaming sulla piattaforma Zoom il webinar promosso dal Partito Democratico Sicilia sulla cosiddetta “Carta di Catania”, voluta dall’Assessore dei beni culturali Alberto Samonà, insieme all’ex soprintendente ai beni culturali di Catania, Rosalba Panvini, e l’associazione SiciliAntica, per concedere in uso a pagamento ai privati i beni culturali nei depositi di musei e soprintendenze, per esporli anche in alberghi e ristoranti. Contro la nuova normativa, fortemente avversata da specialisti, docenti universitari e associazioni, PD, M5S e Cento Passi hanno votato compatti, il 10 febbraio scorso, in Commissione Cultura dell’Ars una risoluzione che ne chiede il ritiro. Tra gli interventi previsti c’è anche quello di Silvia Mazza, che prima ancora che approdasse all’Ars ha sollevato la polemica in una serie di articoli, a cominciare dall’intervista a Salvatore Settis, intervenuto anche in una delle audizioni parlamentari. BlogSicilia ha deciso di sentire la storica dell’arte e giornalista per capire perché la Carta preoccupi tanto gli addetti ai lavori e se si sarebbe potuto fare diversamente.

Come recita il titolo dell’incontro in programma, secondo Lei la Carta rappresenta un’ “opportunità o un disastro”?

Intendiamoci subito: un’opportunità per chi? Non per i musei e i depositi siciliani. Un’opportunità l’hanno considerata molti musei italiani proprio nel momento di grave difficoltà causata dal Covid, dandosi proprio l’obiettivo della rivalutazione delle opere d’arte e dei reperti nei deposti. Basta valicare lo Stretto per rendersi conto di come in questo caso le criticità siano state trasformate in opportunità. E, comunque, io preferisco a “depositi” il termine “riserve”, che fa pensare a una risorsa per le istituzioni pubbliche e non a un fardello da consegnare sbrigativamente nelle mani dei privati, perché si è convinti che sapranno fare meglio per la loro valorizzazione di quanto abbia fatto finora soprintendenti e direttori di museo.

A quali esperienze nel resto d’Italia fa riferimento?

Senza voler richiamare esempi quasi irraggiungibili, come quelli dei grandi musei internazionali e della cura con la quale tengono i propri depositi, il progetto intrapreso da uno dei più importanti musei italiani è assolutamente ripercorribile in Sicilia. Mi riferisco agli Uffizi, che hanno deciso di delocalizzare le opere nei propri depositi in tutto il territorio della Toscana, in almeno 60 sedi museali pubbliche. Non in alberghi o centri commerciali. E mentre in Sicilia con la Carta si vorrebbe affidare a studenti universitari tirocinanti un’attività come la catalogazione dei beni da trasferire al privato, al Parco archeologico di Paestum è stato affidato a professionisti la realizzazione del nuovo catalogo digitale online, dove è possibile consultare i documenti di archivio o il patrimonio monumentale. Ai Musei Civici di Verona il lockdown è stato, invece, la molla per dare vita a un progetto che ha coinvolto l’Università di Verona e l’Accademia di Belle arti cittadina che ha portato alla catalogazione delle opere nella piattaforma ministeriale SIGECweb. E ancora, i direttori di musei come la Galleria Borghese e Palazzo Ducale a Mantova hanno dichiarato di puntare proprio sulle opere nei depositi per offrire una nuova esperienza di visita. Tra le sale, non nella hall di un albergo. James Bradburn, direttore della Pinacoteca di Brera, ha onorato la missione democratica che si era dato all’insediamento, quella di “riportare Brera nel cuore della sua città e il visitatore al centro del museo”, anche con soluzioni come quella del “museo visibile” che inframmezza il percorso di visita con i depositi delle opere: come se a teatro lo spettatore potesse spiare dietro le quinte e ciò che avviene nel backstage potesse irrompere in scena. Ma senza andare troppo lontano, è nella stessa città della Carta, a Catania, che la chiusura forzata dei musei è stata l’occasione per una riorganizzazione senza precedenti dei depositi del museo civico del Castello Ursino.

Diversa da queste esperienze quella siciliana, però, è stata presentata come una rivoluzione che finalmente valorizzerà opere che fino a oggi sono rimaste al chiuso dei magazzini. Cosa c’è che non va?

Una “rivoluzione” richiama l’idea dello sconvolgimento di un ordine precostituito. Ma non è affatto detto che per il solo fatto di sovvertire una prassi lo si stia facendo bene. Questi decreti sono una devoluzione nel sistema di gestione pubblica dei beni culturali e un inno all’impiego del lavoro altamente qualificato a costo zero: nessuna copertura finanziaria, con volontari, ma anche studenti tirocinanti al posto di specialisti remunerati. Gli aspetti critici di questi decreti non si contano. Dalla previsione di affidare di fatto la catalogazione a tirocinanti che non posseggono i requisiti di legge per farlo, senza che la pianta sott’organico delle soprintendenze possa garantire la sorveglianza, così come sufficienti garanzie di vigilanza presso i concessionari, all’uso di una terminologia che evoca un’idea distorta, statica e obsoleta del patrimonio culturale; dall’averlo segmentato in beni di serie “a” e “b” alla pericolosità di declassare beni sottratti al commercio clandestino. E ancora, dall’aver messo una pietra tombale sulla possibilità di future identificazioni dei beni che si intende concedere all’assenza di ogni riferimento all’attività di studio, finalità dell’art. 6 del Codice che definisce cosa debba intendersi per valorizzazione; alla previsione di analisi con sistemi altamente tecnologici affidate ai privati, invece che a centri di ricerca specializzati, sul territorio siciliano, come il Cnr-Ispc. Per non parlare della centralizzazione delle procedure in capo a un unico Rup, che taglia fuori ciò che resta dei tecnici interni a musei e soprintendenze e delle carenze e contraddizioni giuridiche con cui l’Amministrazione potrà scoprire il fianco in caso di ricorsi al Tar. Sa cosa sarebbe accaduto se ci fossero stati i decreti Samonà all’epoca di straordinarie identificazioni come quelle delle metope al Salinas da parte di Clemente Marconi o delle ceramiche egeo-micenee all’Orsi da parte di Massimo Cultraro del CNR-ISPC o della Testa di Ade restituito dal Getty? Che questi straordinari beni sarebbero finiti tristemente tra gli oggetti cedibili a soggetti privati.

Insomma, più un “disastro”…

Intanto quello che ha già prodotto questa “rivoluzione” in salsa autonomista, prima ancora di essere applicata, è un danno d’immagine. Quella di una Sicilia che arretra rispetto al resto del Paese, schiacciata dall’ammissione di sconfitta per l’incapacità della Regione con competenza esclusiva in materia di assolvere al compito istituzionale di tutela e valorizzazione nei luoghi pubblici dei propri beni culturali. “Disastro” è un termine che riserverei per l’annunciata fase di “rilancio” dei parchi archeologici con cui si è confuso il ruolo dei sindaci invece che come rappresentanti dei territori che amministrano e in cui ricadono i parchi come se fossero, invece, dei “tecnici” autorizzati a esprimersi in materia di tutela. Chi l’avrebbe detto che un assessore leghista avrebbe realizzato l’auspicio renziano di consentire ai sindaci di superare i vincoli sul patrimonio? Penso in particolare alla proposta del sindaco di Firenze Dario Nardella. Ecco, in Sicilia sta per accadere molto peggio.

In passato abbiamo parlato con Lei a lungo della questione dei parchi archeologici, ci torneremo. Ma venendo di nuovo alla Carta, l’Assessore Samonà si è detto disponibile a recepire i suggerimenti emersi nelle audizioni della Commissione

Sa, c’è poco da aggiustare il tiro, se è la struttura portante che non regge. L’Assessore vorrebbe imbellettare un ibrido normativo contrario allo spirito del Codice dei beni culturali, ovvero una concessione in uso che trasferisce altrove, in modo sistematico e su larga scala, i beni nei depositi dei musei e degli altri luoghi della cultura, riassorbendo l’istituto del prestito per mostre al solo scopo di estendere anche a questo il carattere oneroso della concessione. Contrario non solo al Codice, ma anche alla stessa normativa regionale che individua l’ “uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana” (L.R. 80/1977) tra le sue finalità, insieme alla tutela e alla valorizzazione, con ciò rimarcando che il valore sociale è sovraordinato a qualsiasi altro valore, compreso quello economico.

La risoluzione Lei ha scritto che rappresenta un “no costruttivo”. In che senso?

Nulla vieta che il fine sociale di cui dicevamo, possa essere raggiunto anche coinvolgendo il privato. Restando, però, all’interno degli istituti. E’ ciò che ha proposto la risoluzione che, vorrei precisare, ha come prima firmataria l’on. Valentina Zafarana, M5S, che da subito si è dimostrata sensibile all’argomento. Il documento impegna il Governo con due azioni: sul lungo periodo, a mettere in atto quanto di sua competenza per la valorizzazione dei beni, e quindi catalogazione, aumento degli spazi espositivi, creazione di nuovi, delocalizzati sul territorio, sul modello dei nuovi “Uffizi diffusi” per esempio; e, nell’immediato, con la concessione al privato, in particolare, start-up e imprese giovanili, del servizio di valorizzazione, ma restando all’interno degli stessi istituti culturali, dove solo può essere garantita quell’osmosi tra collezione permanente e “riserve”. Ecco che si inizia a parlare seriamente di lavoro retribuito. Sì, quindi, a un privato che resta alleato di un’amministrazione pubblica sofferente. No, invece, a sbrigative abdicazioni al privato di compiti istituzionali. Mi lasci dire che è stata scritta una brutta pagina nella storia dell’autonomia di questa Regione, che ben poco ha pure a che fare con la sbandierata valorizzazione “identitaria” di un grande patrimonio culturale.

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