Oltre 200 anni di carcere per 18 imputati, con pene comprese tra quattro anni e otto mesi e 20 anni di reclusione. E’ la sentenza del processo celebrato col rito abbreviato davanti al Gup di Catania Loredana Pezzino a una frangia di Paternò del clan mafioso Laudani, guidata dal boss detenuto Salvatore Rapisarda, condannato a sei anni per la continuazione del reato, che, secondo l’accusa, dava ordini dal carcere. Lo faceva, ha sostenuto il Pm Antonella Barrera che ha rappresentato l’Accusa in aula, basandosi su indagini dei carabinieri, grazie al suo luogotenente Alessandro Giuseppe Farina (condannato a 20 anni) che si avvaleva della collaborazione di sua moglie, Vanessa Mazzaglia (12 anni e un mese), di suo suocero, Antonino Mazzaglia (12 anni e un mese), e di suo nipote Emanuele Farina (13 anni).

L’inchiesta, che rappresenta il proseguo dell’operazione ‘En Plein’ del maggio del 2015, e che prende il nome di ‘En Plein 2′, con 19 ordinanze cautelari eseguite da carabinieri il 19 giugno del 2018, ha permesso di continuare a controllare il clan e a confermare il ruolo di vertice del Rapisarda, nonostante la detenzione, che, sostiene l’accusa, aveva conferito l’incarico di responsabile ad interim per il territorio di Paternò al nipote Vincenzo Marano, condannato a 20 anni di reclusione, che gestiva le “piazze di spaccio” e la cassa comune della cosca assicurando il mantenimento degli associati detenuti.

Le indagini sono state eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Catania e della compagnia di Paternò nell’ambito di un’inchiesta del gruppo della Dda coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo.

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