A quattro settimane dalla guarigione si può definire long covid, dopo le 12 settimane si parla di sindrome, in alcuni casi con sintomi invalidanti. Le donne risultano le più esposte e i giovani l’anello debole. Sono i primi risultati emersi sulla vita dopo il covid affrontata a Enna, sabato scorso, da una folta platea di esperti nel corso del congresso “Il paziente e la sintomatologia”, organizzato dall’Omceo di Enna che ha visto la presenza di tutti i presidenti degli Omceo provinciali.

In Italia mancanza di dati classificati

“Ci sono pazienti guariti dall’infezione che si riprendono in poco tempo e senza effetti negativi, altri che devono fare i conti con il long covid che colpisce fino al 40% delle persone, di cui solo la metà sembra guarire completamente. Mancano le linee guida su diagnosi e trattamento – ha spiegato il presidente dell’Ordine dei medici Renato Mancuso -. Per questo, per la prima volta in Italia, abbiamo voluto accendere i riflettori sulla mancanza di dati classificati e i percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi non ancora standardizzati”. “In Italia, come in Europa, restano le incertezze – ha proseguito il presidente dell’Omceo Palermo Toti Amato, membro del direttivo Fnomceo – Nelle regioni del Paese sembra ripetersi la frammentazione sanitaria che si è manifestata nella gestione dell’emergenza”.

Fase di ricerca per il Long Covid

A Enna una giornata di studi che si è aperta con il messaggio di benvenuto in cui il presidente Mancuso. Secondo il virologo Fabrizio Pregliasco, “Siamo ancora in una fase di ricerca, ci vuole ancora tempo per conoscere i sintomi complessivi del covid. Ci aspettiamo, almeno per quanto riguarda la Sars-CoV-2, che diventi un coronavirus dei tanti che sono a corollario delle infezioni respiratorie che prima avevano come protagonista il virus influenzale. Avremo un’estate tranquilla – ha aggiunto – ma l’andamento sarà come il sasso nello stagno, con onde che andranno via via a decrescere. Dovremo attrezzarci e organizzarci perché nel prossimo inverno ci sarà una brutta stagione influenzale, ma ci sarà ancora la presenza di un coronavirus. I soggetti che perdono la protezione, perché guariti o vaccinati da molto tempo, potranno reinfettarsi, e c’è la possibilità di nuove varianti”.

Serve sburocratizzare la professione

Per il presidente della Federazione nazionale Fnomceo, Filippo Anelli bisogna sburocratizzare la professione e affermare l’autodeterminazione del cittadino”. “Le linee guida – ha sottolineato – devono rappresentare delle raccomandazioni che servono al medico come punti di ancoraggio delle evidenze scientifiche per essere applicati nella singolarità del caso clinico e nella peculiarità dei sintomi di un paziente. Con la regionalizzazione molto gestioni cliniche sono state codificate, diventando indicazioni burocratiche valide per tutti, quando la professione deve invece valorizzare il rapporto interpersonale della singola persona. L’atto medisulla vita dopo il covid co deve diventare la soluzione delle problematiche che il paziente pone con il suo consenso, che può essere diverso da un soggetto ad un altro. L’autodeterminazione del cittadino – ha ricordato – è un diritto costituzionalmente tutelato, ma il più delle volte viene declinata come bandiera di un progressismo, che nei fatti viene negata quando il medico non si lascia libero nella sua autonomia decisionale, che significa responsabilità di fronte alla legge e al paziente nel momento in cui assume la sua decisione”.

Approccio multidisciplinare per affrontarlo

Il long covid è una multicronicità, come tale, ha spiegato il presidente Toti Amato, “l’approccio dovrà essere multidisciplinare, ascoltando ciò che viene riferito da chi ha avuto la malattia in fase attiva. Finora – ha detto – ci siamo fermati a ciò che si vede dalle indagini diagnostiche. Dai lavori di oggi invece si è visto che stanchezza, fiacchezza e dolori possono non essere solo una follia o paure del paziente, ma possono dipendere da danni al piccolo circolo non visibili con le comuni indagini radiografie o tac. Questa è una sfida che riguarda tutti i professionisti, dai medici del territorio, che devono farsi trovare pronti all’ascolto del paziente, a tutti gli specialisti perché ciascuno potrà registrare segni e sintomi. Non dimentichiamo il caso della figura del dermatologo escluso dagli attori “specialisti” quando furono i primi a segnalare una serie di manifestazioni dermatologiche dell’infezione da coronavirus”.

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