Aveva stipulato il primo contratto di imbarco a tempo determinato nel 1991, come marinaio in servizio sulle navi traghetto tra Messina e Villa San Giovanni, alle dipendenze della Rete ferroviaria italiana (Rfi).
Poi per Antonio Mancuso, 53 anni, ne sono seguiti altri che avrebbero fatto maturare al lavoratore il diritto a essere assunto a tempo indeterminato, un diritto però non riconosciuto da Rfi e che ha portato le due parti davanti a un giudice. I tre gradi di giudizio, favorevoli al lavoratore, si sono conclusi il 20 luglio 2017, quando è stata depositata la sentenza della Cassazione che condanna la società anche al pagamento delle spese processuali.
Tra le richieste del marinaio, l’assunzione a tempo indeterminato e il riconoscimento delle retribuzioni maturate e dell’anzianità lavorativa per la liquidazione del Tfr. La prima sentenza del giudice del lavoro di Messina arriva nel 2013, e condanna Rfi a ripristinare il rapporto di lavoro e a risarcire 12 mensilità; la società fa ricorso. Si arriva al 2016, quando la sezione lavoro della corte d’appello di Messina (sentenza 162/2016) dà ragione al marinaio stabilendo che i “contratti di arruolamento sono nulli e invalidi perché carenti di indicazioni come il numero delle traversate e di altri requisiti necessari”. Al lavoratore, insomma va riconosciuto il “contratto a tempo indeterminato a decorrere dal primo imbarco” insieme all’anzianità lavorativa maturata. “Quello di Mancuso non è un caso isolato: otto persone sono a casa e fino a oggi non hanno avuto un euro – spiega l’avvocato difensore del marinaio, Gaetano Sorbello – Questi lavoratori dovrebbero essere assunti e pagati, viste le sentenze a loro favorevoli; invece la società continua a rinviare. Non è giusto”.
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