I carabinieri della compagnia di Santo Stefano di Camastra hanno arrestato un trentanovenne, gravato da precedenti penali, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini di Messina in quanto indagato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Nell’ambito dell’indagine, diretta dalla direzione distrettuale antimafia di Messina, sono emersi gravi indizi di colpevolezza a carico dell’uomo, il quale, dal novembre 2021 si sarebbe fatto consegnare, in più occasioni, da un giovane, diverse somme di denaro per la complessiva somma di 20.000 euro, dietro la falsa promessa di un posto di lavoro presso il Corpo Forestale Regionale, ovviamente mai ottenuto. Per essere più persuasivo l’indagato aveva fatto leva sull’asserita appartenenza alla famiglia mafiosa dei batanesi.

Il trentanovenne è stato quindi condotto in carcere in esecuzione della misura cautelare.

Estorsione a imprenditore, il Tribunale rimette in libertà due imputati

Ieri, il Tribunale di Siracusa ha rimesso in libertà Davide e Salvatore Cannata, padre e figlio, rispettivamente di 39 e 20 anni, sotto processo per la presunta intimidazione ad un imprenditore agricolo culminata, un anno fa, con il loro arresto e quello di una terza persona, il fratello del 40enne. Si trovavano ai domiciliari ma dopo la decisione dei giudici, avvenuta nella giornata di ieri, i due, difesi dall’avvocato Antonino Campisi, sono ormai a piede libero.

Secondo la tesi dei carabinieri e della Procura di Siracusa, gli imputati avrebbero chiesto all’imprenditore agricolo di Palazzolo Acreide 10 mila euro per ricevere la loro protezione.

Secondo quanto emerso nella ricostruzione di uno degli imputati, nel corso dell’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa, nei giorni successivi agli arresti, quei soldi chiesti all’imprenditore agricolo non sarebbero dovuti finire nelle loro tasche, perché avrebbe dovuto consegnarli ad altre persone che avrebbero voluto fare del mare al titolare dell’azienda.

Insomma, una sorta di intermediazione ma durante la sua deposizione il 39enne  aveva precisato che il figlio, anch’esso difeso dallo stesso legale,  ed il fratello sarebbero stati estranei a tutto e che avrebbe chiesto loro di accompagnarlo all’appuntamento concordato con la presunta vittima dove poi è scattato l’arresto. I tre furono trasferiti nel carcere di Cavadonna, a Siracusa, salvo poi tornare nelle rispettive abitazioni, agli arresti domiciliari, dopo la decisione del gip del Tribunale di Siracusa.

Per gli inquirenti, le cose stanno in modo diverso, in quanto dopo l’attentato incendiario i tre avrebbero sollecitato la consegna di 10 mila, concordando un anticipo di 5 mila euro. Stando alla ricostruzione dell’accusa, gli imputati, una settimana prima, avrebbero dato alle fiamme un telo a copertura di alcuni macchinari agricoli che non vennero danneggiati grazie al tempestivo intervento dello stesso imprenditore, svegliato dai suoi cani.

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