Durante le prime fasi della campagna di vaccinazione contro il Covid-19, l’obiettivo era quello di proteggere le persone dal rischio dalle complicanze legate alla patologia e dai decessi e dai ricoveri.

La vaccinazione, infatti, come rimarcato da Futura-Sciences.com, protegge l’individuo dallo sviluppo della forma grave della malattia grazie agli anticorpi presenti, potenziati dal vaccino.

In Francia, ad esempio, i dati di efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech mostrano che il rischio di ospedalizzazione legato al Covid-19 è ridotto dell’87% nelle persone vaccinate di età superiore ai 75 anni. Allo stesso tempo, nella stessa fascia di popolazione, si osserva una riduzione del 91% del rischio di morte. Quindi, il virus è presente in quantità minore nel corpo ma potrebbe potenzialmente essere trasmesso da una persona all’altra.

Seguendo altri modelli di malattie a trasmissione virale (come l’HIV), gli scienziati adesso ammettono che il calo della carica virale riduce significativamente la contagiosità. Si può, quindi, ragionevolmente stimare che avere meno virus significa essere meno infettivi.

A tal proposito, uno studio pubblicato nel primo trimestre del 2021, che ha coinvolto 5mila pazienti, ha mostrato che la quantità di virus nasofaringeo era da 3 a 4,5 volte inferiore nei pazienti che hanno ricevuto una dose del vaccino rispetto a quelli non vaccinati. Questa quantità, direttamente collegata alla carica virale, può essere un buon indicatore di contagiosità.

Un altro studio, pubblicato nell’aprile 2021 e che ha coinvolto 600mila persone, ha scoperto che un individuo che ha ricevuto due dosi del vaccino ha 10 volte meno probabilità di essere infettato senza saperlo.

In conclusione, questi risultati suggeriscono che la trasmissione del coronavirus potrebbe essere rallentata dalla diminuzione della quantità di virus trasportata dalle persone vaccinate e dalla diminuzione della frequenza delle infezioni asintomatiche.