Il boss chiede di essere scarcerato e fa ricorso in cassazione. Problemi di salute lo renderebbero incompatibile con il regime della detenzione carceraria. Almeno questa è la tesi dei legali di Francesco Mulè, uno degli uomini di spicco della mafia Palermitana. Finito al centro di una recente operazione antimafia, Mulè la fece inizialmente franca per alcuni cavilli. Ma in questi giorni è tornato dietro le sbarre. Ed il boss in carcere non vuole starci ed ha per questo fatto ricorso in cassazione.

Il reggente di Palermo centro

Francesco Mulè, 76 anni, è ritenuto il boss reggente di Palermo Centro. E’ tornato in carcere in questi giorni e tramite i suoi legali ha presentato ricorso in Cassazione. Chiede di uscire dall’istituto di pena per motivi di salute. L’anziano è difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo, Marco e Valentina Clementi. Non è stata impugnata la nuova ordinanza davanti al tribunale del riesame. I legali però hanno proposto ricorso per “saltum” dinnanzi la suprema corte.

Il riesame

“Si rivolgerà invece al riesame, in sede di appello, – fanno sapere i legali – per impugnare l’ordinanza di rigetto del Gip Serio. Esclusivamente con riferimento al rigetto della richiesta difensiva con la quale era stata chiesta una nuova perizia medica. Questo al fine di accertare le compatibilità delle condizioni di salute del Mulè con i rigori del regime carcerario”. Mulè era stato arrestato nell’operazione Centro dello scorso dicembre. La Procura lo accusa di essere l’attuale reggente della famiglia mafiosa di Palermo Centro. Il boss indagato anche per concorso in estorsione.

La scarcerazione

Era stato scarcerato qualche giorno dopo per alcuni vizi formali e difetto di motivazione. La Dda di Palermo ha quindi fatto una nuova richiesta di misura cautelare personale, accolta dal gip. Secondo i carabinieri “in ragione del fatto che il quadro indiziario raccolto… delinea l’attuale e concreto attivismo dell’indagato”. In pratica eserciterebbe il suo ruolo di comando in seno alla famiglia mafiosa di Palermo Centro. Ecco perché gli inquirenti hanno ritenuto che alla base vi sarebbe “un complesso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non altrimenti fronteggiabili se non con la misura cautelare di massimo rigore”. Una recente relazione medico-legale ha peraltro ritenuto compatibili le condizioni di salute dell’indagato con il regime di custodia in carcere. Relazione medica contestata dalla difesa.

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