Secondo gli epidemiologi italiani “Nell’attuale fase dell’epidemia si registrano livelli di diffusione del virus molto differenti tra le diverse aree del Paese e dove si sono rilevati i picchi più alti, una volta usciti dalla fase più critica, la guardia dovrà essere mantenuta molto alta. Accanto a ciò, si osservano Regioni largamente al di sotto dell’incidenza media nazionale (184 casi ogni 100.000 abitanti) (Calabria 37,8; Sicilia 38,6; Basilicata 45,6; Campania 49; Sardegna 53,3; Puglia 52,2; Molise 65,7; Lazio 68,3;), in cui, quando il lock-down (isolamento generalizzato) terminerà, l’isolamento selettivo dei casi individuati dalla sorveglianza e dei contatti scovati mediante il contact tracing sarà il nodo cruciale per spezzare le catene di trasmissione virale e impedire l’insorgenza di nuovi focolai”.
“Va compreso – sottolinea AIE – infatti, che è molto importante, nei momenti in cui la circolazione del virus si attenua, passare rapidamente da interventi generalizzati di distanziamento e contenimento sociale come quelli in atto adottati (molto onerosi in termini di costi di sistema socio-economici) ad interventi individualizzati di sorveglianza epidemiologica, che oltre a essere meno costosi, consentano la tempestiva individuazione dei nuovi casi, l’esaustivo tracciamento dei contatti ed il loro isolamento”.
Quest’azione, richiede, però, di superare una visione parziale che guarda prevalentemente al versante ospedaliero e – rileva AIE – impedisce di vedere che occorre recuperare un corretto approccio epidemiologico, soprattutto per quelle regioni dove, per fortuna, siamo ancora in tempo a virare; questo se non si continua a perdere di vista il luogo dove il contrasto all’onda epidemica si sarebbe dovuto giocare già ieri: la comunità o, per meglio dire, le comunità”. “L’approccio epidemiologico pragmatico – avverte AIE – è caratterizzato dalla capacità di risposta rapida di indagine e alle emergenze di salute pubblica e nel caso di una pandemia, qual è Covid19, significa affrontarla sul territorio”. Da qui anche la proposta AIE – attualmente al vaglio delle istituzioni centrali – proprio volta a verificare la reale diffusione del virus nella popolazione generale nelle varie Regioni e circa l’adozione di un protocollo di indagine siero-epidemiologica campionaria finalizzata a disegnare su base territoriale le strategie di uscita dall’attuale fase di blocco totale delle attività sociali”.
Per AIE, dunque, vanno potenziati i servizi territoriali di prevenzione, soprattutto attraverso il ricorso all’epidemiologia di campo, ovvero i “Dipartimenti di Prevenzione” delle ASP/ASL delle Regioni e le loro capacità di sorveglianza delle nuove infezioni sul territorio (casi e loro contatti), unitamente a quella dei medici di famiglia che, al momento attuale, però non sono sufficientemente valorizzati”. L’azione dei dipartimenti di prevenzione, a causa delle diverse disponibilità strutturali e di personale disponibile, non risulta fortemente efficace, o è efficace a macchia di leopardo, quindi in modo disomogeneo per aree geografiche. A tale fine, va considerato il ricorso alle competenze da destinare alle investigazioni epidemiologiche di campo di tali dipartimenti, ovvero “ vanno coinvolte persone esperte, epidemiologi addestrati a reagire rapidamente per fermare minacce per la salute emergenti, che possano dirigere personale anche non necessariamente esperto, ma quantomeno motivato, dopo un breve addestramento”.
L’attuazione di efficaci misure di sanità pubblica appropriate a reagire rapidamente per la tutela della salute collettiva contro minacce a livello planetario, note o emergenti, sono strumenti irrinunciabili per il Servizio Sanitario Nazionale. Questi gli esiti emersi dal seminario interattivo webinar in corso oggi pomeriggio, promosso dall’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), che ha coinvolto circa 800 iscritti in tutta Italia tra epidemiologi, esperti di campo, e istituzioni, impegnate sull’emergenza Coronavirus.
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