Martelli: Non è stata una trattativa con la mafia ma il cedimento dello Stato

  • L’ex Ministro ascoltato in commissione antimafia regionale
  • “Conso disse di aver voluto mostrare disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra”
  • La profezia di Licio Gelli sulle dimissioni di Martelli da Ministro di Giustizia

Claudio Martelli, ex Ministro della Giustizia negli anni Novanta, è stato sentito oggi dalla Commissione parlamentare Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana, presieduta da Claudio Fava.  I capelli sono imbianchiti ma la memoria dell’ex dirigente del Psi è ancora solida. Tema dell’audizione di Martelli è stato il periodo delle Stragi di Mafia del 1992. A quell’epoca Martelli occupava il Dicastero di Via Arenula.

La Trattativa Stato-Mafia

Tra gli argomenti sollecitati dal presidente della Commissione Claudio Fava spicca il tema della Trattativa “Stato Mafia”. Fava contestualizza l’episodio e ricorda gli incontri tra Liliana Ferraro (all’epoca vice di Giovanni Falcone al Dap del Ministero) e il capitano del Ros De Donno, con al centro le attività svolte dal Ros attorno a Vito Ciancimino, braccio politico della dottrina mafiosa corleonese. Venne richiesto di dare il via libera al rilascio del passaporto per Ciancimino. Alla fine, su intervento di Martelli, Ciancimino non ottenne il passaporto e venne nuovamente arrestato.

Per Martelli, quell’episodio “è un mistero fitto come una tenebra.  Il rischio era la fuga di Ciancimino. Appare chiaro che quella procedura era stata concordata”.  Per l’ex ministro, l’embrione di una trattativa va ricercata nell’alveo politico: “Era un assunto l’idea di coabitazione quarantennale, se non di  più, tra la Mafia e pezzi dello Stato, quieta non muovere, se no si rischia il peggio. E il peggio da questo punto di vista sono state la stragi. Non credo a una vera trattativa, non è che qualcuno si è seduto a un tavolo a trattare, perché lo Stato non tratta. Certo, ci sono gli episodi raccontati dal Generale Mario Mori, che parla di un incontro con Vito Ciancimino in cui si sarebbero detto “questo  muro contro muro lo dobbiamo continuare?”. Non penso che abbiano trattato“.

Approfondendo la vicenda sul piano politico, la riflessione di Martelli evoca, se non una trattativa, almeno quella che l’ex ministro definisce “una disponibilità”. Riannoda i fili della memoria per affondare nei luoghi oscuri dei misteri italiani. Quelli che si nutrono della commistione tra mafia, massoneria e politica. I fatti. Martelli si dimette da Ministro di Giustizia nel febbraio del 1993. ” Licio Gelli ha preannunciato le mie dimissioni qualche mese prima, raccontando anche in un’intervista per quale motivo mi mi sarei dovuto dimettere. Era la vicenda del Conto Protezione. Gelli è stato il grande falsario di quella storia. Inspiegabilmente, però, la Procura di Milano, in quel caso l’ha ritenuto un testimone attendibile”. Così, Martelli lascia via Arenula e abbandona anche il Psi.

Al suo posto viene nominato Ministro di Giustizia il professor Giovanni Conso. Ecco cosa racconta Martelli di quella vicenda alla Commissione antimafia regionale: “A Conso, quando gli si chiede della revoca che ha compiuto nei confronti dei mafiosi detenuti al 41 bis risponde: volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra, al fine di evitare stragi. Non capisco perché ci siamo arrovellati con processi, quando la verità, quella politica,  è spiattellata lì davanti. Non è stata una trattativa, è stato un cedimento“.

Per l’ex Ministro quella mossa è stato un errore: “La prova di quanto sia stata sbagliata quella scelta è che gli attentati sono continuati. Infatti, è in quella fase che Riina pensa a dare un altro “colpettino”. La vera trattativa è questa, avviene in questa forma qua. E’ una verità politica. La Commissione mafia doveva accertare delle colpe politica. Questa è netta ma è stata rimossa, omessa, tutti i responsabili politici sono assolti. Tranne uno sfregetto a Nicola Mancino(ex Ministro dell’Interno)“.

Martelli, Scotti e Scalfaro

Ricostruendo i 57 giorni che separano la strage di Capaci da via D’Amelio, Martelli – di fronte alla Commissione -rivendica le scelte politiche, condivise con l’allora Ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti. “Tutti si sono dimenticati che all’indomani della strage di Capaci io e Scotti varammo il cosiddetto Decreto Falcone”. La misura più dura mai adottata dallo Stato italiano nel contrasto alla mafia, la definisce Martelli, che ricorda cosa successe:  “immediatamente si riuniscono gruppi congiunti (Camera e Senato, nda)  della Dc, ma anche del Pci. Tutti avanzarono dubbi di costituzionalità sul Decreto. Ci volle un’altra strage. L’idea di non esagerare contro la mafia era diffusa. Indizi politici? Credo di esser sempre stato inviso a Oscar Luigi Scalfaro. Anche Scotti. Perché? Scalfaro aveva già dato in passato qualche segno di intemperanza. Secondo me Scalfaro apparteneva a quella schiera di politici, democristiani ma non solo, che riteneva me e Scotti responsabili di aver alterato quella pax” ha detto Martelli.

In questo video il dibattito a Racalmuto, il 5 luglio del 1991, con Claudio Martelli e Paolo Borsellino

 

La solitudine di Paolo Borsellino

Uno dei momenti più toccanti dell’audizione di Martelli riguarda l’isolamento di Paolo Borsellino dopo la Strage di Capaci. Il presidente Fava chiede come sia stato possibile non informare direttamente Paolo Borsellino del rischio che correva.

Il giudizio di Martelli è tranchant. “Sono ancora turbato oggi. Si pecca per atti e omissioni. E’ inaccettabile ciò che è stato omesso di fare,  da parte di  tutte le Autorità, nonostante le indicazioni formulate sia da me, sia da Scotti, in ordine alle  precauzioni da adottare per proteggere Borsellino. Lui certamente era il nuovo bersaglio della mafia dopo la morte di Giovanni Falcone. Non solo per l’esito del Maxi processo ma anche per la sua prossima nomina alla Dia. E’ stato inaccettabile, ma forse anche qualcosa di peggio, non proteggere Paolo Borsellino. E’ inquietante che non sia mai stata aperta un’indagine su questa mancata protezione. Incuria colpevole. Come si ci può stupire dei depistaggi,  se sin dall’inizio non si è protetto,  in modo più o meno inconsapevole, il giudice Borsellino. Sono stato sentito più d’una volta dalla Procura di Caltanissetta, allora guidata da Giovanni Tinebra. La cosa che mi colpì è che anche  a loro prospettai la mancata protezione di Borsellino. Lo trattarono come se fosse un aspetto trascurabile. Tutto questo mi ha dato la sensazione di partecipare a un rito formale”.

Martelli e Giovanni Falcone

Parlando del periodo antecedente alle stragi, l’ex Ministro ha ricordato i  motivi che convinsero Falcone ad assumere la guida del Dap. “Se Falcone non fosse stato bersagliato prima dai corvi, e poi da coloro che lo accusarono ingiustamente di tenere le indagini chiuse nei cassetti – tra loro ricordo il Sindaco Orlando Cascio e Alfredo Galasso- se non fosse stato questo il clima a Palermo,  non ci sarebbe stato bisogno di chiamare Falcone a Roma per, come gli dissi,  rendere legge la sua esperienza”.

Nel corso dell’audizione, Martelli ha esposto alla Commissione antimafia regionale il suo punto di vista anche sul ruolo dei servizi segreti, sull’incarico che l’allora Procuratore di Caltanissetta, titolare delle indagini sulle stragi di mafia affidò a Bruno Contrada, alla creazione del gruppo di indagine “Falcone Borsellino”, guidato da Arnaldo La Barbera.  Martelli ha anche spiegato perché e come gli agenti del Federal Bureau of Investigation vennero incaricati di compiere analisi sulla strage di Via Capaci.

 

 

Articoli correlati