Dal carcere dove sta scontando l’ergastolo il boss Ignazio Pullarà continuava a gestire gli affari di famiglia attraverso il figlio Santi e due prestanome i fratelli Antonio e Salvatore Macaluso. E’ quanto sostengono gli investigatori che hanno chiesto ed ottenuto il sequestro dei beni intestati ai Macaluso per evidente pericolosità sociale dei reali proprietari ovvero i Pullarà e per sproporzione fra reddito dichiarato e consistenza patrimoniale.
Questa mattina, dopo una articolata indagine, i Carabinieri del Ros hanno, dunque, dato esecuzione a un decreto di confisca, emesso, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione proprio nei confronti di Pullarà
Si tratta di un esponente di assoluto spessore della famiglia mafiosa di Palermo – Santa Maria di Gesù, di cui in passato è stato anche reggente, ed è oggi detenuto poiché condannato all’ergastolo per omicidio.
Lo spiccato profilo criminale di Pullarà è emerso anche dal suo coinvolgimento nelle complesse e sanguinose vicende che condussero negli anni ’80 all’eliminazione degli storici capimafia palermitani e dei soggetti a loro vicini e, dunque, all’avvicendarsi al potere della cd. ala corleonese a cui si associarono gli esponenti delle articolazioni mafiose palermitane, i quali trovarono così modo di affermarsi dopo il vuoto di potere derivato dalle cd. guerre di mafia.
Il provvedimento di confisca avrebbe evidenziato che la pericolosità di Pullarà non solo “deve certamente individuarsi come risalente ad un’epoca ancor precedente alle prime condotte per cui è stato condannato, ma deve anche ritenersi conservata sia durante lo stato di pluriennale latitanza, cessata ad inizio degli anni ’90, e sia pure nel corso della successiva detenzione, alla luce della documentata e perdurante possibilità di incidere nelle dinamiche economiche del sodalizio mafioso e di vedere tuttora riconosciuto il proprio sostentamento in carcere e quello dei familiari”.
Sotto sequestro sono finiti beni per un valore complessivo pari a circa 1,6 milioni di euro, comprendenti 3 immobili (dove erano dislocate importanti attività commerciali).
In particolare le indagini avrebbero riconosciuto la riconducibilità al detenuto uomo d’onore di questi beni, formalmente di proprietà dei fratelli Macaluso Antonino, e Salvatore, palermitani di 54 e 59 anni.
Durante le indagini, sono stati monitorati, captati e riscontrati i rapporti di frequentazione e i connessi flussi di danaro fra i fratelli Macaluso e alcuni affiliati alla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, tra cui Gaetano Di Marco, e Santi Pullarà, figlio di Ignazio e anch’egli condannato per la partecipazione all’associazione mafiosa.
L’analisi dei dati investigativi, derivanti anche dalle indagini bancarie, ha consentito di accertare che Antonino Macaluso, ricevuti i canoni a lui corrisposti dai locatari degli immobili, procedeva sistematicamente, attraverso Gaetano Di Marco , a farne avere cospicua parte a Santi Pullarà.
Quest’ultimo in più occasioni manifestava espressamente sia la destinazione delle somme al padre sia la regia nella gestione di detti immobili, proprio da parte del padre.
Inoltre è stata documentata la preoccupazione di Santi Pullarà riguardo la concorrenza commerciale di altre grosse aziende impegnate nel settore della distribuzione, intenzionate ad avviare loro attività nei pressi di quelle svolte negli immobili locati.
Ma venivano messi in atto anche comportamenti tipicamente mafiosi come la pretesa, dopo un incendio dovuto a cause accidentali, che uno dei locatari dei magazzini confiscati con l’odierno provvedimento acquistasse l’immobile da lui utilizzato a una cifra altissima e assolutamente fuori mercato, stimata in due milioni di euro.
Le conversazioni intercettate, avrebbero chiaramente dimostrato che Santi Pullarà, oltre ad amministrare il patrimonio immobiliare intestato ai fratelli Macaluso nell’interesse e per conto del padre, si rivolgeva in maniera naturale al contesto mafioso di rifermento per qualsiasi idea imprenditoriale.
Sarebbe stato documentato che proprio Gaetano Di Marco ricordava a Santi Pullarà la necessità di chiedere a Giuseppe Greco, esponente di vertice del sodalizio mafioso di Santa Maria di Gesù, l’autorizzazione per dare corso alle sue iniziative economiche, così come previsto dalle ferree regole di Cosa Nostra per il controllo del tessuto territoriale e imprenditoriale valide anche per gli affiliati.
Infine è stato valutato come, a fronte delle ingenti risorse economiche gestite dai Pullarà e dell’alto tenore di vita documentato, nessuno degli appartenenti al nucleo familiare abbia mai dichiarato redditi o altre entrate significative.
In questo contesto è dunque risultato evidente per gli investigatori che la famiglia Pullarà ha potuto contare su risorse di provenienza illecita negli investimenti connessi con l’acquisto dei terreni e con le successive edificazioni degli immobili confiscati, esborsi chiaramente incompatibili con le condizioni economiche rilevabili dai dati ufficiali.
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