Cerimonia di commemorazione in ricordo del giudice Rosario Livatino, a trent’anni dalla sua uccisione a Palermo una cerimonia si è svolta a Palazzo di Giustizia presente anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella.

“In un periodo drammatico per la Magistratura, e di fronte a sconcertanti episodi che documentano una miseria etica che avvilisce, e mina profondamente la fiducia dei cittadini nella Magistratura e nella giurisdizione, è per noi motivo di orgoglio ricordare figure come quella di Rosario Livatino, e degli altri colleghi che, come lui, hanno dato la loro stessa vita,” ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Poniz ricordando il giovane magistrato.

“Siamo certi – ha aggiunto- che il lavoro quotidiano, la rigorosa professionalità, l’intransigente difesa della legalità siano patrimonio comune alla Magistratura italiana, ed insieme consapevoli che sarà solo con la coerente ispirazione a questi valori che sapremo riconquistare la piena fiducia, fondamento imprescindibile della nostra legittimazione. Potremo continuare ad onorare la loro memoria se sapremo raccogliere la loro grande eredità, senza temere di non essere credibili”.

“La storia – ha aggiunto – ci ha restituito la grandezza della figura di Rosario Livatino, della persona e del magistrato, come documentano in modo chiaro i giudizi espressi nel corso della sua carriera, le testimonianze dei colleghi e degli amici, l’oggettività – direi – del suo lavoro ostinato, puntiglioso, rigoroso, senza sosta, che infatti gli è costato la vita….
Rosario Livatino aveva una visione altissima del proprio ruolo, e trasferiva nella propria vita professionale quella misura, quel rigore, quella severa ricerca della coerenza che caratterizzava la sua vita personale, e le sue visioni ideali. Che aveva, eccome, profonde e lucide, come testimoniano gli interventi nelle peraltro rare occasioni pubbliche, in cui pronunciò parole chiare sul ruolo del magistrato, il rapporto tra le idee, i convincimenti politici e la giurisdizione, tra questa e la responsabilità della politica e del legislatore, la responsabilità disciplinare dei magistrati – all’epoca oggetto di un referendum popolare – il rapporto con la società. Idee rigorose e profondamente meditate, segno di una cultura vera, che non declinava mai in forma di manifesto”.

“Ma nella tragica fine di Rosario Livatino, il tragico destino che lo ha perfidamente atteso ha saputo prevedere, un minuto dopo aver scritto una pagina di sangue e di dolore incancellabile, anche una sorta di speranza: la testimonianza decisiva di un cittadino, Pietro Ivano Nava, un cittadino che, con essa, avrebbe permesso di identificane gli assassini. Le parole con cui Pietro Nava ha spiegato la sua condotta – ‘non sapevo che era un giudice, ma non era questo l’importante: c’erano delle pistole, c’era qualcosa che non andava, poteva essere chiunque, in quel momento toccava a me, io non avrei più potuto né leggere un giornale, né guardarmi nello specchio se non mi fossi comportato così. Vi chiedete se lo rifarei? Certo, perché devo avere rispetto di me stesso, il primo ad avere rispetto di me stesso devo essere io, non gli altri…’ – esprimono quel senso dello Stato, del dovere civile, l’idea della legalità, che aveva caratterizzato la vita e l’impegno di Rosario Livatino; e nel suo tragico destino appare allora un segno di toccante valenza simbolica che un cittadino della Repubblica abbia idealmente raccolto il suo testimone, e scritto così una pagina indelebile nella nostra storia”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il ricordo di Roberto Scarpinato “Questa commemorazione cade in uno dei momenti più difficili della magistratura italiana con l’attuale indagine sul caso Palamara che ha fatto emergere le patologie del sistema e trasversali responsabilità collettive” ha detto il procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, “Livatino come altri magistrati ha pagato l’isolamento etico e professionale”, ha aggiunto.

Stamattina Mattarella aveva in un messaggio ricordato così Livatino: “Rosario Livatino, Sostituto Procuratore della Repubblica e poi Giudice della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento, ha condotto importanti indagini contabili e bancarie sulle organizzazioni criminali operanti sul territorio e sui loro interessi economici. Egli ha, tra i primi, individuato lo stretto legame tra mafia e affari, concentrando l’attenzione sui collegamenti della malavita organizzata con gruppi imprenditoriali. Consapevole del delicato ruolo del giudice in una società in evoluzione e della necessità che la magistratura sia e si mostri indipendente, egli ha svolto la sua attività con sobrietà, rigore morale, fermezza e instancabile impegno, convinto di rappresentare lo Stato nella speciale funzione di applicazione della legge”.. “Ricordare la vile uccisione di Rosario Livatino richiama la necessità di resistere alle intimidazioni della mafia opponendosi a logiche compromissorie e all’indifferenza, che minano le fondamenta dello stato di diritto” aveva concluso il Capo dello Stato.

“Risale a 30 anni fa la morte di Rosario Livatino. È stato definito ‘giudice ragazzino’. Eppure ha dimostrato la tempra professionale e la statura morale di un grande servitore dello Stato. È un martire della giustizia, ucciso dalla mafia agrigentina. Ancora oggi rimane un chiaro esempio per tutti, soprattutto per i più giovani, del tenace impegno nella lotta alle mafie.” Così su Fb il premier Giuseppe Conte.

“Quando venne assassinato Rosario Livatino era un giovane giudice 38 anni che dimostrato una umanità profonda e una grande preparazione. Un giudice che nonostante le minacce non ha voluto la scorta: non posso coinvolgere padri di famiglia nel mio destino disse ai suoi superiori”. ha detto Giuseppe Livatino postulatore della causa di beatificazione del giudice. “Di Rosario Livatino ci sono pochissime foto. Nessuna intervista rilasciata. La sua preparazione era invidiabile – ha aggiunto don Livatino – Ha anticipato con le sue inchieste la tangentopoli siciliana”.

Il 3 ottobre 2018 nella chiesa Sant’Alfonso di Agrigento, con l’ultima sessione pubblica, vennero apposti i sigilli ai plichi contenenti gli atti raccolti nella fase diocesana del processo. Questi atti, nel novembre 2018, vennero poi trasferiti a Roma dove attualmente si trovano, presso la Congregazione delle cause dei santi, per essere esaminati. Per la fase romana del processo, l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, con il consenso dell’Associazione ‘Amici del Giudice Rosario A. Livatino’ che avevano richiesto l’introduzione della causa con la nomina del postulatore per la fase diocesana nella persona di don Giuseppe Livatino, ha nominato un nuovo postulatore. Si tratta del vescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, già postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi.