Un giorno infernale al pronto soccorso. Un giorno ordinario ma un’odissea per chi ha bisogno di cure e per i parenti. Soprattutto se si tratta di un codice verde e quindi di un paziente sulla carta non grave che però deve attendere sempre troppo tempo prima di avere un soccorso risolutivo.

Il racconto di Angelo Morello

A fare la cronaca di quello che è successo è Angelo Morello, noto giornalista palermitano, che a seguito di un incidente in bicicletta della moglie ha riportato la sua esperienza e testimonianza su Facebook. Ed assieme ad essa tante riflessioni su quello che è la Sanità nella nostra città.

Il triste destino di un codice verde

Il racconto di Angelo Morello inizia così ed è emblematico: “Il triste destino di un codice verde. Possiamo titolare così il resoconto che adesso vi faccio di un incidente accaduto pochi giorni fa”.
Morello prosegue: “Roberta transitava con la sua bici a pedalata assistita in via Mater Dolorosa, quella che molti chiamano la salita o la discesa di Pallavicino, quando un corriere (l’autista di un furgone addetto alla distribuzione di pacchi) ha aperto lo sportello provocandone la caduta. Nell’impatto mia moglie vola e cade sull’asfalto al centro della corsia.
Sono le 13.45 in quel momento il traffico solitamente è molto intenso perché è l’ora del rientro a casa per la pausa pranzo”.

Trauma fisico ed emotivo

“Un incidente del genere è un trauma fisico ed emotivo, visto il luogo. Al dolore ad anca, bacino e polso nel caso specifico si aggiunge lo choc per il rischio corso. Roberta a terra su un fianco temeva di essersi rotta il bacino; un polso, proteso in avanti per evitare di sbattere la faccia sull’asfalto, dava già segnali di una possibile frattura”.

L’ambulanza arriva dall’ospizio Marino

“L’autista del furgone, molto giovane, (un bravo ragazzo che in futuro ha promesso che si ricorderà di guardare dallo specchietto prima di aprire lo sportello) si adopera insieme ad un operatore sanitario transitato per caso sul posto per chiedere l’intervento del 118 e l’invio di una autoambulanza, che arriva dall’ospizio Marino. Visto il tipo di trauma, Roberta viene posta sopra una barella spinale e bloccata per evitare che movimenti involontari possano peggiorare le cose. Lo impone la prudenza. Il problema è che ogni scaffa che l’autoambulanza prende nel suo percorso verso il primo ospedale è una coltellata nella schiena”.

“Prima tappa al pronto soccorso di Villa Sofia”

“La mite e sfortunata ciclista chiede all’equipaggio di andare piano, messaggio che per fortuna viene immediatamente recepito. Prima tappa al pronto soccorso di Villa Sofia, dove la centrale del 118 dice che la signora va portata, ma dove l’addetta al ricevimento in ospedale oppone un secco no. Ci sarebbe un decreto assessoriale che stabilisce dopo le 14 l’accettazione solo codici rossi”.

“Dopo le 14 solo codici rossi”, via per il Civico

“Si parte dunque per l’ospedale Civico dove l’ambulanza arriva poco prima delle 15. La dottoressa, prima anomalia, senza effettuare una verifica diretta, chiede all’equipaggio, composto da un infermiere e un autista, di cosa si tratta. Rassicurata che non c’è una somma urgenza di intervenire, decide di lasciare Roberta dentro la autoambulanza e sparisce praticamente dai radar”.

Nel frattempo “Roberta soffre”

“Eppure Roberta soffre, è legata e immobilizzata, chiede di poter avere alleviato il dolore alla schiena provocato più che dalla caduta nell’asfalto dalla estrema rigidità, o comunque da entrambi i motivi, della barella spinale. Ma non è in pericolo di vita e deve portare pazienza. E soprattutto restare sulla barella coricata e legata”.

“Niente antidolorifico”

“Allora Roberta chiede un antidolorifico, ma siccome non è ancora avvenuta l’accettazione nessuno interviene. Solo un po’ di ghiaccio sintetico al polso che intanto si gonfia dopo il trauma. Dopo due ore di questa inutile sofferenza, l’autista dell’ambulanza con un gesto di umana pietà, chiede all’infermiere accettatore se non sia il caso di prendere in carico la paziente, proprio per dargli un po’ di conforto. Anziché procedere l’infermiere entra in contrasto con il generoso autista e addirittura chiede l’intervento della sicurezza per bloccare l’insistenza”.

“Dopo due ore di sofferenze, l’accettazione”

“Io intanto dall’esterno, seguo la scena. Approfitto che la saracinesca dell’ingresso dei mezzi di soccorso è aperta e faccio capolino sulla soglia. L’autista mi informa che il suo intervento non ha sortito effetto e protesto per il trattamento certamente non di umana comprensione. La saracinesca si abbassa quando improvvisamente si riapre e l’infermiere accettatore, che mi fornisce la sua identità solo su mia sollecitazione, mi informa che Roberta sta per essere registrata e che da quel momento ogni informazione arriverà al mio cellulare”.

“Ma è una illusone”

“Evviva, dopo due ore di attesa sulla autoambulanza, mia moglie viene, come si dice in gergo, presa in carico, in sostanza riappare nei radar. Ma è pura illusione”.

“L’anamnesi dopo mezzora e si ricade nell’oblio dell’attesa”

“Infatti dopo l’anamnesi avvenuta mezzora dopo l’ingresso ufficiale al pronto soccorso e l’immediata richiesta da parte del medico di una raffica di radiografie, Roberta ricade nell’oblio non prima, per fortuna, di essersi finalmente liberata della barella spinale”.

“Sei ore e mezzo senza risposte”

Nel racconto si legge: “Passano le ore, addirittura sei e mezzo, in cui i numerosi tentativi di sapere quale fosse il suo destino rimangono senza risposta, scatenando scoramento e senso di frustrazione. Tra l’altro assistendo ad un andirivieni di persone verso la radiologia. Fino a quando l’angelo custode si è materializzato sotto le sembianze di un infermiere, che spinto da umana pietà ‘rompe il protocollo’, e trasferisce mia moglie in radiologia nonostante non giacesse sulla barella spinale che poi abbiamo scoperto non era stata rimossa perché Roberta si lamentasse ma perché serviva per altro servizio”.

L’esito degli esami radiologici a mezzanotte e mezza

“A mezzanotte e mezza l’esito degli esami radiologici, il sospetto di una lesione al polso, la conseguente immobilizzazione dell’arto in ortopedia, infine le dimissioni alle 2 e 15 e il ritorno a casa”.

Fin qui la cronaca.

Le riflessioni ed i quesiti di Morello

Il racconto del giornalista si chiude e si aprono delle riflessioni e degli interrogativi: “Alcune considerazioni, poche. Una persona che soffre, poco o molto che sia, non è un codice ma un essere umano. Deve essere ascoltato, assecondato, confortato oltre che curato. Questo non deve avvenire per umana pietà di qualcuno ma perché il protocollo lo impone”.

E continua: “A proposito di protocollo: la barella spinale perché è stata destinata ad altri se è vero che era indispensabile per effettuare gli esami radiologici, provocando il forte e deplorevole ritardo nella effettuazione degli stessi?”.

“E se l’infermiere, che ringrazio affettuosamente, non avesse deciso di rompere il protocollo mia moglie sarebbe ancora al pronto soccorso?”.

E prosegue con gli interrogativi: “Perché in 11 ore di permanenza davanti all’ospedale, due fuori in ambulanza e nove dentro i locali, non è mai arrivata una telefonata al mio cellulare? Ma soprattutto perché Roberta non è stata informata mai di quel che stava succedendo e del motivo della sua lunga ed esasperante attesa? Spero che le risposte, che mi auguro arriveranno, abbiano una giustificazione”.

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