I carabinieri del nucleo investigativo di Palermo hanno eseguito un provvedimento di sequestro beni per un milione di euro emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo nei confronti di Giovanni Niosi arrestato a novembre del 2017 nel corso dell’operazione ‘Talea’ con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione mafiosa “cosa nostra” e, in particolare del “mandamento di Resuttana” dal 2014, nonché per il reato di estorsione aggravata.

Chi è il destinatario del provvedimento

Niosi è stato condannato, a 10 anni di reclusione. La condanna è diventata irrevocabile nel 2022. Nel 2006, era stato condannato a 5 anni di reclusione perché indiziato di appartenere alla “famiglia mafiosa di Resuttana”, divenuta irrevocabile nel luglio del 2010.

Cosa è stato sequestrato

Il sequestro è scattato per l’intero capitale della società Autocarrozzeria Universal di Concetta Niosi Sas una quota pari a 1.250 euro della società San Francis di Sergio Ariolo & C. sas. Le società hanno sede a Palermo. Sono stati sequestrati anche 11 rapporti bancari.

I precedenti sequestri in Sicilia non solo per mafia

In Sicilia le forze dell’ordine eseguono sequestri di beni non solo per mafia come dimostrano alcune delle ultime operazioni.

Nel trapanese, ad inizio giusto è stata scoperta un’altra storia con relativo patrimonio. Col reddito di cittadinanza ma proprietario di un chiosco, di cavalli, case, auto e moto. Sequestro di beni riconducibili ad un marsalese di 48 anni, già arrestato lo scorso 9 maggio nell’ambito dell’operazione “Fox”. L’inchiesta portò ad 11 misure cautelari per le accuse di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti sull’asse Catania-Marsala.

Gli accertamenti patrimoniali

La Procura di Marsala e i carabinieri hanno dato esecuzione al decreto. Il nuovo provvedimento trae origine dagli accertamenti patrimoniali. Secondo gli inquirenti i beni oggetto di sequestro sarebbero il provento del lucroso traffico di cocaina. Questo perché si è evidenziato un valore sproporzionato dei beni di proprietà rispetto al reddito dichiarato dall’indagato. L’uomo infatti, disoccupato e percettore del reddito di cittadinanza, si avvaleva di prestanome. In questo modo sperava di eludere le indagini patrimoniali. Nella sua disponibilità due immobili, una casa su tre livelli e un chiosco adibito a bar, peraltro costruiti abusivamente. Aveva anche vari beni mobili, tra cui due auto e due ciclomotori, di valore non giustificabile rispetto ai redditi dichiarati.