A trent’anni dalla strage di via D’Amelio, il 19 luglio resta ancora oggi un momento di profonda riflessione e celebrazione del sacrificio del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Sono tanti i rappresentanti istituzionali che oggi ricordano Borsellino e i suoi agenti, a cominciare dal Capo dello Stato.

Mattarella: “Aveva inferto un colpo durissimo alla mafia”

“Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l’attività criminale. La mafia li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto. Nel trentesimo anniversario del terribile attentato di via D’Amelio, desidero rendere omaggio alla sua memoria e a quella degli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, che con lui persero la vita a causa del loro impegno in difesa della legalità delle istituzioni democratiche”. Lo dice il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel trentesimo anniversario della Strage di via D’Amelio.

Il cambiamento culturale a cominciare dalla scuola e dalla società

“Paolo Borsellino aveva la ferma convinzione che il contrasto alla mafia si realizzasse efficacemente non solo attraverso la repressione penale, ma soprattutto grazie a un radicale cambiamento culturale, a un impegno di rigenerazione civile, a cominciare dalla scuola e dalla società. Preservarne la memoria vuol dire rinnovare questo impegno nel tenace perseguimento del valore della legge, del diniego nei confronti del compromesso, dell’acquiescenza e dell’indifferenza che aprono la strada alla sopraffazione”, prosegue il Capo dello Stato. “Il suo ricordo impone di guardare alla realtà con spirito di verità, dal quale l’intera comunità non può prescindere. Quell’anelito di verità che è indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini, consentendo così al Paese di fare luce sul proprio passato e poter progredire nel presente. Con questo spirito e nell’indelebile ricordo di Paolo Borsellino, rinnovo ai suoi figli e ai familiari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine e di vicinanza dell’intero Paese”, conclude.

Garavini: “Rattrista sentenza sul depistaggio di via D’Amelio”

“A trent’anni dalla strage di via D’Amelio, l’eredità civile di Paolo Borsellino è viva e cammina tra le persone. È con chi si ribella alla logica mafiosa. È con chi sceglie di vivere nella legalità. È con chi non piega la testa davanti al malaffare. Il suo insegnamento di ricerca costante della verità sia di ispirazione anche per fare luce sulle stesse circostanze che portarono alla sua morte e a quella dei cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina”. Lo dichiara la senatrice Laura Garavini, Vicepresidente commissione Esteri e già componente commissione Antimafia. “Rattrista, infatti, la sentenza sul depistaggio di via D’Amelio giunta proprio in questi giorni dal Tribunale di Caltanissetta. Che ha dichiarato prescritte le accuse per due dei tre poliziotti imputati del depistaggio. Finché non si farà luce piena sulle vicende che portarono alle stragi di mafia, non renderemo piena giustizia alla memoria dei giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone”, conclude.

Cartabia: “Aspetti ancora oscuri di quella drammatica stagione, arrivare alla verità”

“La memoria dei caduti diventi nuova spinta a fare luce sugli aspetti tuttora oscuri di quella drammatica stagione”. Trenta anni dopo l’attentato di via D’Amelio il 19 luglio 1992, la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, richiama la necessità “di consegnare ai familiari delle vittime e all’intero Paese una verità piena su una delle più dolenti ferite della nostra storia”.
Per la ministra Cartabia è importante arrivare alla verità: “Lo dobbiamo a Paolo Borsellino che, pur consapevole dei gravi rischi che correva soprattutto dopo l’attentato a Giovanni Falcone, continuò con ancora più determinazione a portare avanti il suo altissimo servizio”. Per la Guardasigilli, “proprio la testimonianza umana e professionale dei due magistrati – divenuti punto di riferimento per le successive generazioni di colleghi e di cittadini – ha reso la lotta alla mafia sempre più quel ‘movimento culturale e morale’ auspicato da Borsellino”. La ministra Cartabia ricorda infine come “la statura di Paolo Borsellino risieda anche nella sua capacità di cercare sempre l’uomo in qualunque persona: ‘l’uomo con la sua coscienza, i suoi perché, i suoi errori’, come raccontava la sorella Rita. Un insegnamento – conclude Cartabia – che travalica il tempo”.

Rizzo: “Uomini di Stato sino a sacrificare la propria vita”

“Nel trentesimo anniversario dalla terribile esplosione che uccise il giudice Paolo Borsellino e i 5 agenti della sua scorta, voglio ricordare il giudice scomparso per quello che rappresenta ancora oggi per le istituzioni: essere uomo di Stato sino a sacrificare la propria vita.”
Lo dice Il presidente della commissione Difesa della Camera dei deputati e parlamentare di Ipf, Gianluca Rizzo.
“Nonostante sapesse di essere sotto minaccia di morte – afferma Rizzo – Borsellino continuò a svolgere il proprio lavoro anche alla ricerca dei mandanti e degli esecutori dell’altro terribile attentato che 57 giorni prima aveva provocato la morte del giudice Falcone, di sua moglie e di tre uomini della scorta”.
“Quando il senso del dovere e l’essere uomo di Stato diventano preminenti di fronte alla propria incolumità – conclude Rizzo – siamo in presenza di un esempio virtuoso che la nostra memoria collettiva deve continuare a tenere vivo. Paolo Borsellino non è stato ucciso, egli vive in mezzo a noi, sappiamo riconoscerlo nel compimento del nostro dovere”.

Lagalla: “Mai stancarsi di ricercare la verità”

A ricordare Borsellino anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla: “Con coraggio e alto senso del dovere hanno pagato con la vita il loro contrasto ad un sistema mafioso che in quel periodo ha messo in atto il più feroce attacco al cuore dello Stato e delle istituzioni. Nel trentennale della strage e alla luce dei recenti fatti, oltre ad un dolore che rimarrà per sempre indelebile, resta l’amarezza per una verità che ancora stenta a emergere su uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica. Una verità legittimamente attesa dai familiari di Paolo Borsellino e delle vittime di questo attentato, alle quali esprimo oggi tutta la mia vicinanza. Ma è anche una verità che sia le istituzioni sia la società civile non devono mai stancarsi di ricercare”.
E aggiunge: “Ciascun cittadino ha il dovere di mantenere vivo il ricordo dei martiri della lotta alle mafie, ai quali oggi è rivolto il nostro pensiero, attraverso l’impegno quotidiano in una battaglia per la legalità che deve coinvolgere tanto le comunità locali, quanto i loro amministratori. È necessario andare oltre i momenti celebrativi e dare vita ad azioni concrete. Tra i miei prossimi impegni vi sarà anche quello di costituire un Organismo indipendente per il contrasto alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose nella Pubblica Amministrazione.
Un organismo che supporti l’attuale Piano anticorruzione varato da tutti i Comuni sotto la vigilanza dell’Anac e che ne amplia le capacità operative, svolgendo anche compiti assegnati ai nuclei antiriciclaggio già previsti dalla legge ma ancora non attuati”.

Centro Pio La Torre: “Nostro dovere cercare la verità a ogni costo”

“Sulle stragi il nostro dovere è cercare la verità ad ogni costo. La prescrizione è sempre una sconfitta”. Lo ha detto la nuova presidente del Centro studi Pio La Torre, Loredana Introini.
“Ho incontrato per la prima volta Agnese e Manfredi Borsellino – ha aggiunto Introini – ad una iniziativa svolta nel settembre del 1992 e la sensazione che ricordo, come cittadina e palermitana, era di un profondo senso di colpa verso un ragazzo ed una famiglia distrutta per una strage annunciata, come troppe volte era già accaduto in Italia e della responsabilità politica delle persone inserite nelle istituzioni di quel periodo. Oggi, a trent’anni dalla strage in cui oltre a Paolo Borsellino persero la vita Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina – con un unico sopravvissuto, Antonio Vullo – leggiamo che la sentenza sul depistaggio della strage di Via D’Amelio, che rispettiamo, e di cui aspettiamo le motivazioni, contiene al proprio interno addirittura delle prescrizioni”.
“La prescrizione è sempre una sconfitta: per lo Stato, perché non può punire i colpevoli, per l’imputato stesso perché viene ‘assolto’ solo per una questione di tempo e non perché dichiarato innocente e soprattutto per le vittime, perché non ottengono giustizia – conclude la presidente Loredana Introini -. Nel caso specifico, questa sentenza, a distanza di 30 anni, rende responsabili tutti noi cittadini nel continuare ad impegnarci per mantenere alta l’attenzione sulla scoperta della verità anche per le famiglie distrutte dalla strage di Via D’Amelio e che ancora aspettano giustizia”.

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