“Mi chiedo spesso se fu solo mafia, ci sono molti punti oscuri su cui riflettere”. Lo afferma a Repubblica, il presidente del Senato Pietro Grasso, sugli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. “Abbiamo tanti punti – spiega – che sono stati accertati e che danno l’idea di una qualche presenza esterna oltre alla mafia, che per certo si è occupata delle stragi sul piano operativo. Ma prendiamo alcuni elementi. Nel febbraio ’92 c’era un commando a Roma che aveva l ‘incarico di uccidere Giovanni, però fu richiamato da Riina in Sicilia. E poi organizzarono l’esplosione sull’autostrada. Se pensiamo a certe presenze nella fase preparatoria dell’omicidio Falcone e ad alcune presenze esterne a Cosa nostra, emerse nelle indagini sull’omicidio Borsellino, ci sono elementi sui quali riflettere”.

“Penso – aggiunge – che si sia fatto tutto quello che si doveva sul piano dell’accertamento giudiziario. Ma non è detto che non ci possano essere altri pezzi di verità da fare emergere”. Intervistato anche dal Messaggero, Grasso afferma: “La mafia non uccise più i politici,preferiva fare accordi con loro”. “Falcone e Borsellino – spiega – erano nemici di Cosa Nostra e avevano fatto condannare per la prima volta all’ ergastolo mafiosi in precedenza sempre assolti per insufficienza di prove. Per spiegare la loro morte però, il contrasto alla Mafia non basta. C’ è dell’ altro. Ricordo l’ importanza che Falcone attribuiva alla posizione di Ignazio Salvo nel Maxiprocesso”. “La sua condanna fu importante perché provava il legame tra imprenditoria, politica e mafia che era alla base del sistema allora dominante in tutta la Sicilia. E’ facile dedurre che il sistema per autodifesa avesse innescato un’ azione preventiva per mettere Falcone e Borsellino in condizione di non nuocere. Non a caso, in una strategia che definirei conservativa, la loro eliminazione fu seguita dalla stagione delle stragi in continente tanto che Giuseppe Graviano, dopo via D’ Amelio, dice a Spatuzza: ‘Ne faremo tante altre adesso'”.

E nei giorni del ricordo dei due magistrati uccisi da Cosa nostra nel 1992 anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla della lotta alla mafia negli anni del Maxi processo, e lo fa nella prefazione al libro di Pietro Grasso “Storie di sangue, amici e fantasmi. Ricordi di mafia”, pubblicata dalla Stampa.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono per Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, “modelli di vita, colleghi ma soprattutto amici”. Il Capo dello Stato parla di “un’amicizia nata e cementata da quella ‘meravigliosa avventura’ che fu il Maxiprocesso, una stagione segnata anche da polemiche, delusioni, tentativi di delegittimazione e talvolta persino di isolamento”.  “Ma in quell’occasione – sottolinea – l’Italia si presentò con un fronte comune: non soltanto i giudici, ma il Parlamento, il governo, i media, l’opinione pubblica furono insieme protagonisti di quella che oggi ci appare come la prima grande vittoria di sistema dello Stato contro la mafia”.