Un gioco di equilibri sottili e ammalianti per una riflessione sulla situazione climatica attuale.

Una grande installazione ambientale che mette in scena il respiro della terra attraverso i suoi elementi fondamentali: mare, luce e atmosfera. E’ We lost the Sea, di Federica Di Carlo (Roma, 1984), un’opera immersivo-percettiva che attraverso un gioco di equilibri sottili e ammalianti, invita a una riflessione sulla situazione climatica attuale.

L’installazione, ospitata all’Arsenale della Marina Regia di Palermo, è curata da Simona Brunetti e promossa dalla Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia e dalla Fondazione Mondo Digitale, e prodotta da Snaporazverein con il patrocinio di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.

A partire da lunedì 18 giugno (opening alle ore 18:00), l’antica “Fabrica della Real Marina”, per secoli un importante crocevia di scambi e di relazioni tra popoli, sarà trasformata in uno spazio senza tempo attraverso cui osservare il processo vitale di acqua, aria e luce che tiene in vita la Terra. Attraverso un’unica via d’accesso, un vero e proprio pontile di dieci metri eretto all’interno della sala semibuia dell’Arsenale, i visitatori-in numero di massino 15 alla volta- si addentreranno in un “mondo altro” in cui grandi aquiloni argentati, rappresentazione del vento e dell’atmosfera, fluttuano nello spazio a diversi metri d’altezza, creando nell’ambiente riflessi di luce costantemente in movimento, simili alle onde del mare.

Mare che è anche rappresentato e conservato dentro grandi cisterne, dove l’artista collocherà realmente l’acqua del mare di Palermo, simbolo visivo e culturale della situazione ecologica locale. Solitamente collocate sui tetti della città, le cisterne raccogliendo l’acqua piovana garantiscono la sopravvivenza nel quotidiano in casi di emergenza.

“L’equilibrio sottile che tiene insieme questi elementi, ciascuno dei quali reca in sé universi naturali e culturali complessi, è lo stesso che tiene in vita la Terra sin dalla notte dei tempi e si basa su una legge fisica elementare: la quantità di acqua che evapora deve essere all’incirca uguale a quella che ritorna sulla terra sotto forma di precipitazioni”, spiega la curatrice Simona Brunetti.

L’elemento dell’acqua assume così una forte simbologia culturale ed ecologica.

Realmente presente in mostra, diviene coacervo di storie individuali e crocevia di culture, assurgendo a metafora universale dell’acqua di tutta la Terra, quella che, come racconta la letteratura scientifica, si liberò dal magma primordiale a seguito di un processo di evaporazione, ricoprendo l’intero Globo. Un processo questo, che milioni di anni fa rese possibile la vita sul pianeta e che ancora oggi risulta determinante al fine di garantirne il mantenimento.

Come questo delicatissimo sistema rischi di essere fortemente compromesso dal surriscaldamento globale, è oggetto di studio degli scienziati oramai da anni, ma è anche un tema lungamente esaminato a livello della politica e del dibattito culturale internazionale.

L’opera s’inserisce infatti nell’ambito di una serie di riflessioni sulla situazione climatica attuale, generate da ricerche personali che Federica Di Carlo ha portato avanti in questi ultimi anni in collaborazione con i fisici di vari dipartimenti scientifici come: MIT (Boston), CERN (Ginevra), INAF (Roma/Milano).

We Lost The Sea pone l’accento su questo tema, analizzandolo da un punto di vista scientifico ed ecologico, ma trasponendolo anche su un piano culturale. Mescolando un piano “scientifico” a un piano “poetico”, il lavoro di Federica Di Carlo al tempo stesso gioca sul doppio fronte della partecipazione e della fruizione dell’opera da parte del territorio.

Non a caso l’Arsenale della Marina Regia è stato individuato come spazio ideale per accogliere l’istallazione: luogo di confine per eccellenza, sotto il quale scorre ancora oggi il mare palermitano, assurge a simbolo di quelle “zone d’interferenza” e di quei territori liminali su cui insiste la ricerca dell’artista.

“Complice di tali interferenze, il mare sussiste nel suo lavoro come grande attivatore di energie, storie e destini, sia individuali – si pensi alle quanto mai attuali storie di immigrazione che fanno di Palermo un luogo sempre al centro delle cronache internazionali – che planetari. (Simona Brunetti).