“Sono stato minacciato di morte con una pistola puntata alla testa sotto gli occhi di mia moglie. Siamo fuggiti a Roma, ci siamo rifatti una vita ma io non ho mai spacciato, ha fatto solo uso di stupefacenti”. E’ quanto ha detto nell’aula della Corte di Assise di Siracusa Salvatore Sinone, imputato, insieme ad altre 19 persone, nel processo Aretusa per mafia e droga, che sta per chiudersi. L’uomo ha voluto rilasciare delle dichiarazioni spontanee per negare le accuse mosse dal pm della Dda di Catania, Alessandro La Rosa, che, nella sua requisitoria, ha chiesto per lui la condanna a sette anni di carcere.

Secondo la tesi dell’accusa, nel capoluogo si sarebbero formati tre gruppi che si sarebbero spartiti il territorio: il primo avrebbe avuto come quartier generale via Bartolemeo Cannizzo, sotto il controllo di Gianfranco Urso, il secondo avrebbe operato alla Borgata, ed a capo ci sarebbe stato Luigi Cavarra, deceduto nel 2018 dopo essersi pentito, l’ultimo, invece, avrebbe messo radici Cassibile ed a guidarlo sarebbe stato Francesco Satorino che un anno fa è diventato collaboratore di giustizia.

Nel corso della sua deposizione, Sinone, difeso dall’avvocato Gianbattista Rizza, ha affermato che a minacciarlo sarebbe stato Luigi Cavarra. Il motivo, secondo la ricostruzione del teste, consisterebbe in un debito di circa 1000 euro contratto dall’imputato per procurarsi la droga, essendo un consumatore.  “In tono minaccioso – ha raccontato l’imputato in aula – mi chiese un favore: recarmi in un luogo, in via Elorina, per ritirare un pacco ma dopo essermi recato all’appuntamento preferì andarmene. L’indomani si presentò nella mia abitazione puntandomi una pistola alla testa, sostenendo che per colpa mia aveva perso circa 10-12 mila euro”. Secondo l’imputato, Cavarra si sarebbe recato ancora una volta in casa sua per quel debito. “Mi puntò ancora una volta la pistola – ha detto Sinone –  davanti a mia moglie, dicendomi che sarei dovuto andare a Catania a prendere un pacco. Mia moglie mi disse che avrei dovuto fare una scelta e così decidemmo di andarcene a Roma.  Siamo rimasti sei mesi, mi sono disintossicato e poi abbiamo fatto ritorno a Siracusa perché ho avuto una offerta di lavoro. Non ho mai spacciato droga ma ho fatto uso di stupefacenti”.

Nella sua arringa, l’avvocato Gianbattista Rizza, difensore di Sinone ma anche di Gianfranco Urso, ritenuto dalla Dda di Catania, come uno degli esponenti di spicco di questa presunta associazione, ha detto ai giudici della Corte di Assise che lo spaccio sarebbe stato di dimensioni minime, non da “giustificare”  per Urso una richiesta di condanna a 30 anni di reclusione.

Queste le richieste del pm della Dda di Catania:

30 anni di reclusione per Gianfranco Urso; 22 anni per Luigi Urso; 15 anni  per Andrea Abdoush,; 19 anni  per Salvatore Catania; 11 anni di reclusione ciascuno per Agostino Urso e Gianfranco Bottaro; 12 anni  per Daniele Romeo; diciannove anni  per Lorenzo Vasile; nove anni  per  Franco Satornino; 15 anni  per Massimiliano Midolo; 12 anni per Maria Christian Terranova; undici anni di reclusione per Lorenzo Giarratana; tre anni e sei mesi per Francesco Fontana; tre anni  per Massimiliano Romano; due anni e sei mesi per Sebastiano Recupero; due anni per Angelica Midolo; cinque anni  ciascuno per Salvatore Quattrocchi e Umberto Montoneri; tre anni e sei mesi  per Concetto Anthony Magnano e sette anni  per Salvatore Sinone.

 

 

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