ROMA (ITALPRESS) – Il sistema manifatturiero italiano sta spronando la ripresa. A sottolinearlo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison, disaggregando i dati Istat sull’andamento del prodotto interno lordo. Uno sprone alla ripresa dopo che il sistema manifatturiero ha retto bene perfino alla crisi innescata dalla pandemia. Preservando significative quote di mercato. E confermandosi per il nostro Paese un patrimonio prezioso, da tutelare. Un patrimonio che, al contrario della vulgata comune, è formato nella stragrande maggioranza da imprese artigiane, micro e piccole. Imprese che hanno contribuito in maniera preminente, quindi, a resistere alla crisi socio-economica scaturita dall’emergenza sanitaria. Ragion per cui diventa inderogabile tarare le future misure di politica industriale, spesso invece pensate “a taglia unica” su misura delle grandi. A testimoniare il ruolo delle piccole imprese italiane nel sistema produttivo una indagine del Centro studi CNA, dalla quale scaturisce che, sulla base dei più recenti dati economici omogenei a disposizione, l’Italia rimane la seconda economia manifatturiera d’Europa, dopo la Germania.
La presenza di piccole e piccolissime imprese è preponderante in tutti gli ambiti produttivi del comparto: dai campi più tradizionali, a spiccata vocazione artigiana, a quelli caratterizzati dai processi produttivi maggiormente complessi. Prova inoppugnabile di quanto siano ingiuste e ingiustificate le critiche alle piccole imprese che il pregiudizio ideologico fa accusare di tutti i ritardi del sistema produttivo nazionale e della sua (presunta) scarsa competitività sui mercati internazionali. In Italia, su quasi 380mila imprese attive nei comparti manifatturieri il 92,3% sono micro (82% del totale) o piccole (10,3% del totale), organizzate giuridicamente come imprese artigiane nel 63,8% dei casi. Tra le grandi economie dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, l’Italia presenta la struttura produttiva più estesa e diffusa. Solo limitatamente al segmento delle grandi imprese (oltre 250 addetti) il nostro Paese ne conta un numero più basso o uguale rispetto alla Germania e alla Francia. Dal punto di vista occupazionale, invece, le grandi imprese assorbono il 60,5% degli addetti in Germania, il 60% circa in Francia e il 27,2% nel nostro Paese. Il secondo posto europeo dell’Italia per fatturato manifatturiero dimostra come un sistema produttivo frammentato, quale l’italiano, non rappresenti necessariamente un ostacolo per competere con successo a livello internazionale. Nel 2018 il valore aggiunto italiano, pari a 246,9 miliardi, ha superato quello francese, di poco superiore ai 241 miliardi. Per merito, soprattutto, delle piccole imprese. In Francia circa 1300 grandi imprese (lo 0,6% complessivo) hanno creato il 70,9% del valore aggiunto totale, in Italia un numero di grandi imprese di poco inferiore ha contribuito alla creazione solo del 39,4% del valore aggiunto complessivo. Viceversa, il valore aggiunto creato dalle imprese italiane fino a 50 addetti ha più che doppiato quello realizzato in Francia dalle imprese con la stessa dimensione occupazionale. Dal confronto con la Germania sulla specializzazione produttiva, calcolata dal rapporto tra indici di produttività per addetto, l’Italia esce penalizzata di quasi 20 punti percentuali. Garantiscono migliori prestazioni, però, proprio alcuni settori tradizionali del Made in Italy (alimentari, bevande, tessile, moda) nei quali è maggiore la presenza di imprese minori per dimensione.Le piccole imprese della manifattura contribuiscono all’export complessivo del settore per una quota pari al 15,8% del totale, superando i 20 punti percentuali nelle produzioni in legno che non includono i mobili (43,4%), nelle altre industrie manifatturiere (27,6%), nel tessile (31,1%), nella fabbricazione di mobili (29,4%), nell’abbigliamento (27,3%) e negli alimentari (22,5%);
I settori nei quali è maggiormente radicata la presenza delle piccole e medie imprese sono quelli che contribuiscono quasi per intero alla formazione dell’avanzo commerciale dell’intera manifattura. In particolare l’alimentare, il tessile, l’abbigliamento, la pelletteria, la metallurgia, la meccanica e i mobili.
(ITALPRESS).
La presenza di piccole e piccolissime imprese è preponderante in tutti gli ambiti produttivi del comparto: dai campi più tradizionali, a spiccata vocazione artigiana, a quelli caratterizzati dai processi produttivi maggiormente complessi. Prova inoppugnabile di quanto siano ingiuste e ingiustificate le critiche alle piccole imprese che il pregiudizio ideologico fa accusare di tutti i ritardi del sistema produttivo nazionale e della sua (presunta) scarsa competitività sui mercati internazionali. In Italia, su quasi 380mila imprese attive nei comparti manifatturieri il 92,3% sono micro (82% del totale) o piccole (10,3% del totale), organizzate giuridicamente come imprese artigiane nel 63,8% dei casi. Tra le grandi economie dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, l’Italia presenta la struttura produttiva più estesa e diffusa. Solo limitatamente al segmento delle grandi imprese (oltre 250 addetti) il nostro Paese ne conta un numero più basso o uguale rispetto alla Germania e alla Francia. Dal punto di vista occupazionale, invece, le grandi imprese assorbono il 60,5% degli addetti in Germania, il 60% circa in Francia e il 27,2% nel nostro Paese. Il secondo posto europeo dell’Italia per fatturato manifatturiero dimostra come un sistema produttivo frammentato, quale l’italiano, non rappresenti necessariamente un ostacolo per competere con successo a livello internazionale. Nel 2018 il valore aggiunto italiano, pari a 246,9 miliardi, ha superato quello francese, di poco superiore ai 241 miliardi. Per merito, soprattutto, delle piccole imprese. In Francia circa 1300 grandi imprese (lo 0,6% complessivo) hanno creato il 70,9% del valore aggiunto totale, in Italia un numero di grandi imprese di poco inferiore ha contribuito alla creazione solo del 39,4% del valore aggiunto complessivo. Viceversa, il valore aggiunto creato dalle imprese italiane fino a 50 addetti ha più che doppiato quello realizzato in Francia dalle imprese con la stessa dimensione occupazionale. Dal confronto con la Germania sulla specializzazione produttiva, calcolata dal rapporto tra indici di produttività per addetto, l’Italia esce penalizzata di quasi 20 punti percentuali. Garantiscono migliori prestazioni, però, proprio alcuni settori tradizionali del Made in Italy (alimentari, bevande, tessile, moda) nei quali è maggiore la presenza di imprese minori per dimensione.Le piccole imprese della manifattura contribuiscono all’export complessivo del settore per una quota pari al 15,8% del totale, superando i 20 punti percentuali nelle produzioni in legno che non includono i mobili (43,4%), nelle altre industrie manifatturiere (27,6%), nel tessile (31,1%), nella fabbricazione di mobili (29,4%), nell’abbigliamento (27,3%) e negli alimentari (22,5%);
I settori nei quali è maggiormente radicata la presenza delle piccole e medie imprese sono quelli che contribuiscono quasi per intero alla formazione dell’avanzo commerciale dell’intera manifattura. In particolare l’alimentare, il tessile, l’abbigliamento, la pelletteria, la metallurgia, la meccanica e i mobili.
(ITALPRESS).
Commenta con Facebook