ROMA (ITALPRESS) – “Nel 2017 la Sicilia occidentale con i suoi porti si presentava non come un’industria ma come un insieme di disordinate economie. Abbiamo investito tanto, abbiamo infrastrutturato i porti e creato le strutture ricettive. Abbiamo sfruttato quella finestra del Covid e oggi ci sono risultati straordinari. In alcuni settori abbiamo quadruplicato il traffico e quest’anno abbiamo superato ampiamente i numeri del 2019, sia per i passeggeri, sia per le merci. Rappresentiamo un’isola felice a livello nazionale. Ne sono molto orgoglioso perchè è un risultato positivo e va raccontato: può partire come messaggio dal Sud verso il Nord”. Lo ha detto Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress.
Recentemente è stato sottoscritto un accordo con il Comune di Palermo per interventi di rigenerazione urbana nell’area. “Spesso – ha evidenziato Monti – amiamo confrontarci con i porti del Nord Europa, che sono giganteschi, nati negli estuari dei fiumi e non sono inseriti nei contesti urbani. La nostra è una portualità diffusa sul territorio nazionale ed è inserita all’interno dei contesti urbani. Il problema in Italia è che spesso una portualità viene respirata come un’enclave, come una zona della città quasi squalificata. In realtà deve esistere un’interfaccia porto-città che ricolleghi e faccia comunicare la città con il suo porto. In Italia il turismo da mare è una realtà straordinariamente importante. Il porto rappresenta la porta d’ingresso, dal mare, delle nostre città”. Per questo, secondo Monti, “trovare con la comunità cittadina, quindi con il Comune, un accordo che vada in questa direzione è fondamentale. Soprattutto in quell’area di interazione tra la città e il suo porto”.
Anche per quanto riguarda i porti c’è il problema Nimby, ovvero le proteste di chi non vuole che un’opera sia costruita nel proprio territorio. Accade anche a Piombino, dove dovrebbe arrivare il rigassificatore. “Il nostro paese – ha affermato – sconta la mancanza di una politica energetica. Abbiamo cominciato a parlare di gas liquido che è un tema che tocca le nostre realtà ormai da un decennio. Se ne parla oggi per la crisi della guerra in Ucraina, evidentemente perchè c’è questa carenza di materia prima. Il nostro – ha continuato – è un paese che produce 3 miliardi di metri cubi di gas e ne consuma 76 miliardi l’anno. Evidentemente vuol dire che non siamo infrastrutturati, quindi quando arrivano i momenti bui ne facciamo i conti e comprendiamo che invece è importante avere strutture che ci consentano di immettere gas nella rete e di non essere dipendenti da un unico paese. A Porto Empedocle nel 2014 è stato approvato un rigassificatore e ancora non è stato realizzato perchè spesso la politica fa alle comunità locali un racconto di pancia. Quando ragioni con la pancia del popolo purtroppo non realizzi gli investimenti”.
“Nei porti stiamo ragionando sull’elettrificazione delle banchine per dare energia alle navi”, ha aggiunto, parlando dell’importanza di spiegare “come arriva l’energia nel porto”. “Ormai – ha spiegato – le navi hanno una doppia capacità di rifornimento: una parte a gas e un’altra combustibile, quindi gasolio. Se non hai un deposito con il quale riesci a rifornire le navi quando arrivano in porto, queste consumano gasolio inquinando di più. Oggi non abbiamo bisogno solo di un’operazione di rigassificatori in termini di infrastruttura sostenibile ma anche di avere depositi di Gnl che a livello di sistema nazionale ci consentano di rifornire le navi e abbattere il livello di inquinamento nel Paese”.
Nel contesto di oggi pesa il caro energia ma in Sicilia c’è anche un altro problema. “Non siamo sulla terraferma – ha sottolineato – e quindi già soffriamo dell’insularità, perchè tutto arriva via mare. Quando hai industrie che per esempio si occupano per l’enogastronomia di prodotti congelati – ha continuato – ti scontri con realtà che hanno quadruplicato i consumi e che quindi oggi vedono come insostenibile la prosecuzione della propria attività imprenditoriale”.
Un’osservazione anche sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Il Pnrr – ha affermato – si basa su una pianificazione che è stata fatta in fretta e furia quindi ha preso progetti vecchi, alcuni addirittura del 2002, altri che hanno 50 anni. Quando affronti un tema come quello dell’infrastrutturazione e del dialogo tra le diverse modalità di trasporto, affronti un tema che riguarda la logistica in generale. Il nostro è un paese che ogni anno spende 70 miliardi di euro per i colli di bottiglia che esistono nel nostro sistema infrastrutturale. Il Pnrr prende alcuni progetti che sono del 2002, li cala a terra ma non si preoccupa di stabilire le regole del gioco. Il problema in Italia – ha affermato – non è mai stato quello dei soldi: il problema vero è passare dallo stanziamento alla spesa”.

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