Ricorre oggi il quarantesimo anniversario dall’uccisione del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, vittima di un attentato mafioso a Valderice nel Trapanese. Stamattina autorità civili e militari hanno deposto una corona d’alloro sul luogo dell’omicidio in via Antonino Carollo.

L’incontro con gli studenti

Al Molino Excelsior si è tenuto un incontro con gli studenti degli istituti “Dante Alighieri” e “Sciascia-Bufalino” sul tema della legalità. Anche l’amministrazione comunale di Trapani con una breve cerimonia alla villa Margherita, stamattina ha ricordato il giudice ucciso con la deposizione di una corona di alloro davanti l’istallazione realizzata in sua memoria.

Perché fu ucciso

La condanna a morte arrivò per volere del clan Riina. Ciaccio Montalto aveva toccato direttamente il mandamento, emettendo un mandato di cattura nei confronti dell’anziano zio, Giacomo Riina. Il magistrato aveva scoperto gli interessi in terra di Toscana della mafia corleonese e trapanese insieme. E da Pm a Firenze, insomma, era pronto a muoversi. Ma il movente del delitto va ricercato anche in altro. Ciaccio Montalto aveva portato avanti indagini sul cosiddetto “terzo livello”, la pista che stava seguendo era quella dei soldi, dei beni. Era arrivato a mettere mani su alcuni beni mafiosi grazie anche all’entrata in vigore, alla fine del 1982, della legge Rognoni-La Torre sul sequestro e la confisca dei beni alla mafia.

Il tragico destino

I sicari uccisero Ciaccio Montalto la notte del 25 gennaio 1983 davanti all’ingresso di casa a Valderice, dove era giunto dopo aver passato una serata a casa di amici. Ad entrare in azione tre uomini armati di mitraglietta e due pistole calibro 38. Si approfittarono del fatto che il giudice fosse privo di scorta e a bordo della sua auto non blindata, nonostante le minacce ricevute. Fu un pastore ad avvertire le forze dell’ordine quando ritrovò il corpo la mattina in quanto i vicini, pur avendo sentito i colpi, non avvertirono le autorità. Ciaccio Montalto non aveva ancora 42 anni e lasciò la moglie Marisa La Torre, anch’essa trapanese, e le loro tre figlie Maria Irene, Elena e Silvia che dopo l’uccisione decisero di trasferirsi a Parma.

La svolta sull’omicidio nel 1995

Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) hanno consentito l’individuazione dei veri responsabili dell’omicidio. I giudici rinviarono a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l’esecutore materiale) e l’avvocato massone Antonio Messina. Sulla base delle indagini le accuse mosse furono quelle di aver ordinato il delitto perché il trasferimento ormai deciso del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana. Nel 1998 il tribunale condannò in primo grado Riina e Agate. Assolti invece l’avvocato Messina e Mariano Asaro. La sentenza venne anche confermata nei successivi due gradi di giudizio.