Nonostante gli arrivi a Lampedusa siano ormai una cronica ricorrenza da decenni, la gestione dell’assistenza sull’isola continua ad essere affidata a un approccio emergenziale che non assicura un’accoglienza dignitosa né risponde ai bisogni sanitari delle persone appena sbarcate, soprattutto le categorie più fragili. È quanto afferma Medici Senza Frontiere (Msf) al termine del proprio intervento a Lampedusa che per oltre due mesi ha visto impegnati una ventina di operatori, tra medici, infermieri, mediatori interculturali, psicologi, in collaborazione con le autorità sanitarie locali.

Hotspot inadeguato

Il sistema hotspot, finalizzato al contenimento e all’identificazione delle persone sbarcate in Italia, è ritenuto inadeguato ad accogliere in modo dignitoso uomini, donne e bambini che hanno appena percorso la rotta migratoria più letale al mondo. Al contrario, le condizioni di sovraffollamento, l’estrema promiscuità, le scarse condizioni igieniche, sono un fattore aggravante delle condizioni di salute, fisica o mentale, delle persone, in particolare dei più fragili. “Quando sono arrivato mi hanno messo nel giardino all’ingresso dell’hotspot e ho dormito lì due notti, su un materasso all’aria aperta. Faceva freddissimo, non avevamo coperte, tremavo tutta la notte. Io vorrei essere curato, è l’unica cosa che voglio” racconta un uomo tunisino con una protesi alla gamba destra a un operatore di Msf.

Necessità sanitarie immediate

“Le persone che sbarcano a Lampedusa hanno specifici bisogni sanitari, anche legati alle condizioni del viaggio in mare, che necessitano di un’immediata assistenza – dichiara Stella Egidi, responsabile medico di Msf che ha avviato il progetto di Lampedusa -. Le odierne modalità di sbarco non facilitano l’individuazione di alcune di queste esigenze, a cominciare da quelle legate a vissuti traumatici, come le violenze subite in Libia o in altre tappe del viaggio. Su nuove competenze, percorsi e sistemi per la condivisione delle informazioni sulle vulnerabilità, le istituzioni devono investire per garantire una corretta e adeguata presa in carico dei pazienti. Contiamo, con l’intervento di questi mesi, di aver contribuito a innalzare l’attenzione su questo tema e che questo possa rimanere una priorità per il futuro”.

Dalla banchina all’hotspot: i numeri dell’intervento di Msf

In banchina un team di Msf, in collaborazione con l’Usmaf, gli uffici di sanità marittima aerea e di frontiera, e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, è intervenuto a 343 sbarchi, contribuendo ad assistere 11.305 persone, con l’obiettivo di rafforzare la capacità di identificare le condizioni sanitarie più importanti e le specifiche vulnerabilità delle persone in arrivo. Per garantire continuità di cura e un’ulteriore valutazione alle persone individuate agli sbarchi, un secondo team di Msf è intervenuto nell’hotspot contribuendo alle attività di assistenza medica e svolgendo 53 sessioni di salute mentale a cui hanno partecipato 394 persone. “Se ieri non avessimo parlato per telefono, sarei morto di angoscia” ha scritto un ragazzo di origine subsahariana nell’hotspot ad una psicologa di Msf. Una terza équipe di Medici senza frontiere ha operato nei centri quarantena per vulnerabili della provincia di Agrigento per assicurare ulteriore supporto medico a 36 pazienti con particolari bisogni sanitari riferiti da Lampedusa ed effettuando 49 sessioni di salute mentale.

Lampedusa ha bisogno di un piano per l’accoglienza

La situazione a Lampedusa dimostra la necessità che le autorità italiane garantiscano dignitose condizioni di sbarco e prima accoglienza alle persone in arrivo in Italia e la non esposizione a ulteriori sofferenze per i più vulnerabili. Msf sottoporrà alle autorità competenti una serie di osservazioni riguardo le principali criticità osservate nel periodo dell’intervento e raccomandazioni per assicurare una risposta adeguata ai bisogni sanitari delle persone che sbarcano sull’isola.

 

 

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