Il credito di imposta per sviluppo e ricerca non deve essere restituito all’Agenzia delle Entrate. A stabilirlo è stata la Commissione tributaria provinciale di Bologna decidendo il ricorso su un atto di recupero crediti d’imposta subito da un Srl siciliana, difesa dall’avvocato Alessandro Dagnino, socio fondatore e managing partner di Lexia Avvocati, e dall’avvocato Antonino Calcò, senior associate dello stesso studio.
Il caso del valore di oltre 200mila euro
Il caso – del valore di oltre 200mila euro fra sorte principale, interessi e sanzioni – si è delineato con la notifica delle contestazioni da parte della direzione provinciale di Bologna dell’Agenzia delle Entrate sull’asserita inesistenza del credito di imposta, riferito al 2018. Le spese compiute in ricerca e sviluppo non avrebbero rispettato dei requisiti per ottenere il bonus fiscale.
La tesi dell’Erario, contestazioni su due progetti
Secondo la tesi dell’Erario, due dei progetti di ricerca e sviluppo avanzati non avrebbero avuto i requisiti necessari e così la compensazione del credito di imposta al 50% sarebbe stata illegittima. In un caso all’amministrazione finanziaria non risultava chiaro a quale degli ambiti normativi fosse riconducibile il progetto, in un altro caso, poi, non era spiegato quale sarebbe stata l’attività di ricerca e sviluppo svolta, gli elementi di novità e creatività apportati rispetto alle conoscenze già disponibili nel settore e le eventuali incertezze scientifiche o tecnologiche da superare.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate e il “Manuale di Frascati 2015”
Alla base di questa posizione, l’Agenzia delle Entrate rivendicava il mancato rispetto del “Manuale di Frascati 2015”, un manuale, approvato dall’Ocse, che fissa le regole per individuare cosa è attività di ricerca e sviluppo e quindi cosa merita di ricevere il bonus. Fondamentale risulta infatti distinguere cosa è ordinario da cosa è innovativo e quindi capace di “generare un passo migliorativo rispetto allo stato dell’arte ed un incremento dello stock di saperi a disposizione della comunità”. Questo deve avvenire nel rispetto di cinque criteri fondamentali secondo cui l’attività deve essere nuova, creativa, incerta, sistematica, trasferibile o riproducibile.
Per i giudici il Manuale di Frascati valido solo a partire dal 2022
Accogliendo la tesi della difesa della società, il collegio giudicante, composto dai magistrati Marco D’Orazi (presidente), Fabrizio Casaccia (relatore) e Giovanni Battista Blesio (giudice), ha anzitutto affermato che la forza normativa del “Manuale di Frascati 2015” può essere fatta valere solo a partire dal 2022 essendo la traduzione giurata del dicembre 2021.
Cosa hanno stabilito i giudici con la loro sentenza
Altrimenti, d’altronde, il manuale avrebbe efficacia retroattiva. “Si ritiene altresì – recita la sentenza – di condividere l’assunto con cui è stato sancito che ai fini della corretta fruizione del credito ricerca e sviluppo, l’innovazione relativa all’investimento può consistere anche nell’adozione di conoscenze e capacità esistenti che comunque apportano una novità per l’impresa”.
“Conclusioni che non provano adeguatamente i fatti contestati”
Di particolare rilievo per la Ctp di Bologna è, inoltre, il fatto che la norma prescriva all’Agenzia delle Entrate di richiedere un parere al Ministero per lo Sviluppo economico. Questo serve ad acquisire da parte dei tecnici di quell’amministrazione dello Stato la certezza che un’attività di ricerca e sviluppo possa essere riconosciuta come tale. Nel richiedere il recupero del credito, invece, l’Ade non avrebbe fatto questa verifica “giungendo a conclusioni, anche di merito – si legge in sentenza-, che non provano adeguatamente i fatti contestati”.
La società ha rispettato gli adempimenti imposti dalla normativa
Infine i giudici hanno rigettato la tesi per cui il credito di imposta sarebbe stato inesistente. Infatti, per la ricostruzione della Ctp si può parlare di inesistenza quando con artifici si crea un falso, manca il presupposto sostanziale e dai controlli formali non ci sono riscontri. Al massimo quindi si sarebbe dovuto parlare di credito non spettante. I giudici notano invece che “la società non ha adottato alcun comportamento omissivo o ostruzionistico in grado di rendere difficile, per l’Ufficio, intercettare l’utilizzo del credito d’imposta” e questo perché “dal punto di vista formale e sostanziale, la società ha rispettato gli adempimenti alla stessa imposti dalla normativa”.
Il legale: “Ulteriore tassello interpretativo, ricerca e sviluppo decisivi per le imprese”
Soddisfazione per la decisione da parte dell’avvocato tributarista Alessandro Dagnino. “Sulle questioni oggetto della causa – spiega il legale – si sta formando una cospicua giurisprudenza favorevole alle imprese che hanno correttamente operato. Siamo felici che il caso aggiunga un ulteriore tassello nell’interpretazione dei requisiti e dell’applicazione del credito di imposta in uno dei settori decisivi per la competitività delle imprese come quello della ricerca e dello sviluppo”.
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