• L’Antimafia regionale siciliana presenta i risultati della propria inchiesta sul depistaggio delle indagini per la strage di via D’Amelio
  • Un duro atto d’accusa nei confronti degli inquirenti dell’epoca
  • L’inchiesta riassunta in 120 pagine

“Ci si muoveva in un contesto molto corporativo. Molti interventi potevano essere fatti invece si scelse di marciare su binari paralleli assumendo, come fatto inoppugnabile, che si fossero esautorate le forze investigative deputate a fare le indagini, affidando tutto a un gruppo di investigatori messo su da La Barbera escludendo chi aveva risolto i più clamorosi delitti di mafia. Perchè nessuno lo ha fatto pesare?”. E’ un j’accuse verso la magistratura dell’epoca quello lanciato dal presidente dell’antimafia regionale Claudio Fava che ha illustrato oggi i risultati della inchiesta sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio. Fava, rispondendo ai giornalisti intervenuti, ha sottolineato come di fronte a macroscopiche contraddizioni e sviste della magistratura nissena dell’epoca, pur scettici sulla credibilità dell’allora collaboratore di giustizia Scarantino, nessun magistrato palermitano sollevò dubbi.

L’atto d’accusa dell’Antimafia alla magistratura

“E’ come se tutti si fossero accontentati della soluzione facile – ha aggiunto – E davanti a un simile concorso di inerzie nessuno ha detto nulla. Giammanco era a conoscenza dell’inchiesta su Contrada (ex numero due del Sisde poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ndr) eppure non disse nulla sul fatto che indagava sulla strage di via D’Amelio. C’è tutto un lavoro investigativo e giudiziario che non è stato fatto e pensare che una risposta possa arrivare dal limitato perimetro del processo in corso a Caltanissetta è assurdo”.

Familiari vittime hanno diritto alla verità

“Esiste un diritto del familiari delle vittime a sapere la verità”, dice Fava che auspica che “un magistrato dica ‘abbiamo sbagliato perchè abbiamo peccato di ingenuità’, che qualcuno per senso del pudore esprima poche parole di scuse”. “Penso alla famiglia Borsellino – conclude – che continua a collezionare giustificazioni pelose. Perchè tutti sono rimasti in silenzio?”.

Una relazione di 120 pagine

In 120 pagine di relazione, approvate all’unanimità, la commissione ricostruisce l’isolamento degli ultimi giorni di vita di Borsellino, i suoi sforzi di far luce sulla strage di Capaci e sulla morte del collega Giovanni Falcone, le incongruenze investigative (come l’affidare le indagini sull’attentato agli 007), i silenzi dei Servizi, le falle nella protezione del magistrato ucciso in via D’Amelio, fino all’ultimo depistaggio messo in essere dal dichiarante Maurizio Avola che dà una falsa ricostruzione della strage. “Segno conclude che deve passare la verità più semplice e cioè che a uccidere il giudice fu solo la mafia”, spiega. Quella illustrata oggi è la seconda inchiesta della commissione sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

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